La mattina di sabato 3 gennaio, un quotidiano romano ha dato grande spazio a un’intervista al Presidente dell’Istat Giorgio Alleva, intitolando con enfasi Ecco perché l’Italia può scrollarsi la recessione da dosso. In effetti, chi ha redatto il titolo non ha tenuto conto che il Prof. Alleva è stato molto più cauto: non ha ripetuto altro che quanto contenuto nel Bollettino diramato dall’Istituto il 30 dicembre, ossia che ci sono “frammenti” di segnali tali da indicare che nel 2015 il tasso di crescita del Pil potrebbe (il condizionale è d’obbligo) non essere negativo, ma superiore allo zero.



In effetti in tutta Europa la fine dell’anno è stata contrassegnata da percezioni leggermente ottimiste. Un po’ perché anche gli antichi egiziani, gli assiro-babilonesi e gli aztechi nelle cerimonie per il nuovo anno si dicevano confidenti di leggere promesse degli dei secondo cui il futuro sarebbe stato meglio del passato. Un po’ perché dopo un ciclo “lungo” di recessione e stagnazione ci sarebbe da aspettarsi un miglioramento. Anche perché il resto del convoglio mondiale tira e tira bene. Basterebbe, quindi, agganciarsi e farsi rimorchiare.



In questo quadro, la nuova “crisi greca” sta rompendo un po’ a tutta Europa le uova nel paniere. Per alcuni aspetti, è più grave di quella del 2009-2010. Sotto il profilo finanziario, gli interventi del “cordone sanitario” disposto per aiutare Atene, oltre a richiedere riforme economiche e austerità, hanno spostato l’80% del debito pubblico greco (nel 2009 pari al 133% del Pil, come quello italiano oggi, ma ora giunto a quasi il 180% del Pil) dalle banche creditrici agli Stati e alla Banca centrale europea sia direttamente che indirettamente. L’Italia, che nel 2009-10 non era quasi esposta nei confronti dell’Ellade, ora lo è per circa 20 miliardi di euro.



Sotto il profilo politico, e di political economy, la crisi greca è la prova della “teoria del domino” applicata alle unioni monetarie, quando non rispettano i canoni dell’area valutaria ottimale quale definita negli anni Sessanta da Robert Mundell. Alla “teoria del domino” lavorano da anni alla Scuola superiore di Relazioni internazionali Robert Baldwin e Charles Wyplosz, con i loro allievi. Non differisce, per molti aspetti, dalla “teoria del domino” in politica e strategia internazionale formulata da W.W. Rostow negli anni Sessanta a sostegno dell’intervento americano in Vietnam. Se nel gioco del domino si mette male una pedina, si rischia di essere sconfitti per gli effetti che tale perdita ha sulle altre, specialmente quelle meno robuste.

Basta fare quattro passi nel parco di Mon Repos, sulle rive del Lago Lemano, dove ha sede la Scuola superiore, per toccare con mano la gravità della crisi greca in un’Europa la cui unione monetaria è ancora incompleta (esce in questi giorni per i tipi dell’Editore Passagli un interessante volume collettaneo curato da Emilio Barucci e Marcello Messori, frutto di una ricerca di Astrid). Nel breve periodo, i punti essenziali sono i seguenti:

È illusorio pensare che il 22 gennaio il consiglio della Banca centrale europea vari misure monetarie non convenzionali (c’è una vera e propria galassia di sigle), poiché gli occhi di tutti saranno puntati sulle elezioni del 25 gennaio in Grecia.

Occorre , invece, prendere atto che l’esame dei “rimandati a marzo” (Belgio, Francia, Italia) sarà più rigoroso poiché, per il momento, le difese migliori nei confronti di tensioni monetarie sono finanza pubblica in ordine e riforme mirate ad aumentare produttività e competitività.

Nel medio periodo, quale che sarà l’esito delle elezioni in Grecia (nella migliore delle ipotesi una coalizione che tenga a freno le forze maggiormente estremiste), i movimenti populisti e anti-euro rischiamo di uscirne rafforzati e potenziati. E con essi le tendenze a misure unilaterali che potrebbero viaggiare verso lo sbriciolamento di un’unione monetaria concepita, un po’ frettolosamente, sull’onda dell’unificazione tedesca.

In queste circostanze – come ha indicato un servizio di Der Spiegel del 4  gennaio (pare ispirato da Berlino)-forse sarebbe meglio per tutti se la Grecia uscisse dall’eurozona. Ma la speculazione potrebbe accanirsi su Belgio, Francia e Italia.

Allacciate le cinture: c’è turbolenza in vista.