Il Fmi ha rialzato le previsioni di crescita del pil italiano (+0,8% per l’anno in corso), ma «in che misura questo preannunci un sentiero sostenibile per la crescita della nostra economia rimane tutto da verificare». Lo dice Domenico Lombardi, direttore del Dipartimento di economia globale del Cigi. Lombardi, consigliere del G20 Reserach Group dell’Università di Toronto, ha partecipato in questi giorni all’assemblea annuale del Fondo monetario internazionale, svoltasi a Lima. «Il miglioramento del dato preliminare per l’Italia – dice – riflette la convergenza di vari elementi particolarmente favorevoli: il più basso tasso di cambio dell’euro, la politica monetaria della Bce particolarmente accomodante, il basso prezzo delle materie prime e la tenuta, sinora, delle economie emergenti. Ma l’economia italiana è ancora fragile e ipersensibile a choc esterni, qualora dovessero materializzarsi».



L’economia globale attende ancora – anzitutto da Pechino – di capire qual è la traiettoria dell’Azienda-Cina, su riforme, politiche economiche interne ed esterne, stabilità dei mercati finanziari locali.

Nel dipanare gli scenari dell’economia globale, le prospettive per l’economia cinese hanno un ruolo fondamentale. La Cina e le altre grandi economie emergenti, infatti, hanno contribuito per quasi il 60% della crescita economica mondiale dall’inizio della crisi finanziaria. L’economia di Pechino, inoltre, rappresenta un grande mercato di sbocco per la principale economia dell’Eurozona, la Germania. Nelle ultime previsioni del Fmi, rilasciate a Lima, la Cina mantiene un tasso di espansione al 6,8% per l’anno in corso e 6,3% per quello successivo. In pratica, questo significa che, per ciascun anno, essa contribuisce per circa un punto percentuale di crescita dell’intera economia mondiale. Tuttavia, occorre considerare che l’incertezza su queste stime è aumentata considerevolmente.



Perché?

È difficile valutare in che misura un nuovo choc finanziario possa trasmettersi all’economia reale, a causa dell’affidabilità limitata che presentano i dati rilasciati dalle autorità cinesi. Naturalmente, i timori per l’economia di Pechino amplificano i problemi per molte economie emergenti e non solo. Le prime esportano materie prime verso la Cina, le seconde prodotti intermedi e finiti. Ma il calo delle esportazioni comincia ad apparire un po’ dappertutto, anche nelle statistiche tedesche e, tramite la Germania, incideranno sull’Italia.

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La ripresa economica si va sempre più consolidando nonostante la correzione nelle previsioni del Fmi, che riflette fattori temporanei come la durezza della scorsa stagione invernale. Si intensifica, invece, l’attesa su quando la Fed avvierà il rialzo dei tassi di interesse, che potrebbe avvenire entro la fine dell’anno in corso. Tipicamente, infatti, la Fed si astiene dall’effettuare interventi rilevanti in prossimità di importanti scandenze elettorali come le elezioni presidenziali previste il prossimo anno. Date le condizioni di crescente fragilità delle economie emergenti, al Fmi non nascondono la preoccupazione che il rialzo – sia pure atteso da lungo tempo – possa ampliare la decompressione degli spread, deprezzare il cambio dei paesi emergenti e accentuare la difficoltà delle loro imprese a rifinanziarsi a condizioni accettabili.

La Bce è sempre più decisa nel sostenere lo stimolo monetario anche oltre settembre, mentre nella Ue il confronto sulle politiche fiscali è ancora confuso.

Le previsioni rilasciate dal Fmi per l’Eurozona confermano una crescita stabile dell’1,5% per l’anno in corso. Il dato riflette la tenuta dell’economia tedesca (+1,5%) e francese (+1,2%), l’accelerazione di quella spagnola (+3,1%), e l’innalzamento nella previsione sulla crescita del pil italiano (+0,8%). Eppure, risulta difficile conciliare questo dato con le ultime notizie provenienti dalla Germania: il calo delle esportazioni in atto, la caduta dei prezzi dei metalli sui mercati internazionali che sconta le difficoltà del gigante cinese e del suo grande esportatore come la Germania, nonché le ripercussioni dello scandalo Volkswagen sull’intera filiera. Se si dovesse verificare un rallentamento dell’economia tedesca, questo dovrebbe – per la prima volta dall’inizio della crisi dell’euro – fornire la copertura politica per un ulteriore round di Quantitative easing, di cui in verità si è già cominciato a parlare.