A Lima, dove si è tenuta l’assemblea annuale del Fondo monetario internazionale e del Gruppo della Banca mondiale – per tradizione l’assise si tiene ogni tre anni non a Washington (dove le due istituzioni hanno la sede centrale) ma nella capitale di un altro Stato membro) -, il ministro dell’Economia e delle Finanze dell’Italia, Pier Carlo Padoan, ha presentato il quadro di “una ripresa (dell’Italia) superiore alla aspettative”. È suo compito rassicurare i mercati e, per così dire, tenere alto il morale delle truppe. Analogamente, la Managing Director del Fondo non ha fatto cenno ai problemi che affliggono l’organizzazione, ma al fatto che per la prima volta da quando si tengono statistiche sul tema, meno del 10% dell’umanità è in povertà assoluta.



Tuttavia, nei corridoi del Museo de la Naciòn, dove si sono svolti i lavori, l’Italia è stato uno dei temi di preoccupazione, soprattutto non c’è stato l’assordante silenzio sul debito sovrano nostrano che permea il Documento di economia e finanza (Def) e di cui non parla la stampa italiana. Anche il mondo accademico sembra scansare il tema: al seminario di una giornata sulla politica economica italiana tenuto all’Università di Roma Tre il 9 ottobre, solamente in chiusura due economisti, ormai in pensione, hanno sollevato il tema, dopo otto ore di dibattito di economisti più giovani e di rappresentanti delle forze di governo e di opposizione.



Perché del debito italiano si è parlato più a Lima che a Roma? Nella capitale del Perù, all’assemblea delle istituzioni create nel 1944 a Bretton Woods, l’aria che tirava (e le associate preoccupazioni) era di “tempesta perfetta” che starebbe per abbattersi sulla finanza internazionale. Stephen Jen, un ex- dirigente del Fondo che ora gestisce un hedge fund a Londra, parla dell’esplosione della terza bolla finanziaria in pochi anni: prima quella dei prestiti subprime negli Usa, poi quella del “debito sovrano” europeo e ora quella del “riflusso” dei capitali dai Paesi emergenti verso lidi più sicuri. Un riflesso rapido e che il Fondo non è in grado di gestire: da cinque anni opera quasi esclusivamente nell’eurozona (anche perché il resto del mondo sembrava crescere in relativa tranquillità). Oltre due terzi della sua esposizione finanziaria, ossia di suoi prestiti, è nell’eurozona. Resta ben poco per eventuali operazioni di salvataggio nel resto del mondo.



Non è solo o principalmente il debito sovrano a causare fibrillazioni cardiache: negli ultimi dieci anni, l’indebitamento “corporate” di imprese dei Paesi emergenti è cresciuto da 4 a 18 trilioni di dollari: la Malesia, la Repubblica del Sudafrica, e la Turchia vengono indicate come i Paesi le cui grande imprese si sono indebitate a breve termine sino al collo, spinte dai bassi tassi d’interesse, e possono esplodere da un momento all’altro anche perché l’apprezzamento del dollaro esporta deflazione, quindi una contrazione, per molti tutt’altro che “felice” dell’economia reale.

Il deflusso è ovviamente accentuato dalle prospettive di un aumento dei tassi d’interesse. Per questa ragione la Federal Reserve ha ritardato l’incremento dei tassi direttori. Infine, come ha correttamente scritto la Deutsche Bank, il contesto generale è di quantitative tightening causato dalla contrazione delle riserve delle banche centrali (alcune per “salvataggi”, altre come la Cina , per sostenere il cambio della propria moneta) di fronte al quale il quantitative easing delle autorità monetarie americane del passato e ora della Banca centrale europea possono fare ben poco.

In questo quadro il debito italiano è il terzo (in rapporto al Pil) più alto al mondo, ma in effetti la prima fonte di preoccupazione, perché quello della Grecia è tenuto a bada da ampi prestiti e da un vero e proprio commissariamento della politica economica e quello del Giappone è essenzialmente interno. Il nostro debito sovrano è in gran parte detenuto da banche italiane (spesso in urgente bisogno di aumenti di capitali), ma oltre un terzo è in mano a istituti (e privati) stranieri.

La temuta “tempesta perfetta” potrebbe essere la miccia per fare saltare il banco.