«Prima di attuare una legge di stabilità a deficit, Renzi per coerenza dovrebbe abolire l’obbligo di pareggio di bilancio dalla Costituzione. Il rischio altrimenti è che la legge di stabilità sia dichiarata incostituzionale». Lo evidenzia il professor Claudio Borghi Aquilini, responsabile del dipartimento Economia della Lega Nord e consigliere della Regione Toscana. Come rivelato dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, la legge di stabilità avrà un valore vicino ai 30 miliardi di euro. Le dimensioni complessive della manovra stanno lievitando, e in questa somma rientrano i 16,8 miliardi per neutralizzare le clausole di salvaguardia e i 5 miliardi per eliminare Imu e Tasi sulla prima casa. Negli ultimi giorni il premier ha anticipato inoltre una serie di nuovi interventi, tra cui ci sono il bonus per i bambini poveri, il maxi ammortamento per gli investimenti e il taglio dell’Ires sui profitti delle aziende.
Dove si prenderanno tutti i soldi per gli interventi annunciati dal governo?
Abbiamo già visto che la maggior parte di queste idee si basa sulla speranza di una futura crescita e di una maggiore flessibilità concessa dall’Europa, che in concreto si tradurrà in maggior deficit rispetto al dovuto. In entrambi i casi si tratta di condizioni ipotetiche, che dubito potranno avverarsi.
Perché?
L’Italia ha inserito il pareggio di bilancio in Costituzione e ha firmato il trattato del Fiscal Compact. Se poi per paradosso si consentisse al nostro Paese di fare il 10% di deficit, i soldi da spendere sarebbero potenzialmente 150 miliardi di euro. Peccato che queste ipotesi fossero considerate come bestemmie, almeno prima che al governo arrivasse Renzi.
Per quali motivi la posizione del governo italiano è cambiata?
L’idea di fare più deficit era considerata così vergognosa da dover necessariamente mettere il pareggio di bilancio in Costituzione, rispetto a cui la Lega Nord è sempre stata contraria. È legittimo cambiare idea, ma come prima cosa bisognerebbe togliere il pareggio di bilancio dalla Costituzione. Altrimenti si rischia che ogni Legge di stabilità fatta in questo modo sia incostituzionale.
L’Ue ci consentirà di fare più deficit rispetto a quanto concordato con il Fiscal Compact?
Sia che lo consenta, sia che non lo consenta, ciò equivale a confermare che la nostra sovranità è limitata. L’Italia in questo momento potrebbe permettersi di fare più deficit, anche in misura assai maggiore, per fare ripartire l’economia. Il problema è che non abbiamo rimosso le condizioni di base per cui la nostra economia va male, e cioè che ci manca la sovranità monetaria. E soprattutto dobbiamo ogni volta aspettare l’ok da qualcun altro. Siamo ancora uno Stato sovrano?
Secondo lei comunque l’ok di Bruxelles arriverà?
In questo momento in Europa stanno sforando tutti. Dopo la solita pantomima, è possibile che si arriverà a un compromesso. Fatto sta che siamo alla fase tipica dei venditori di tappeti: il primo prezzo sparato è altissimo, e poi si fa passare il secondo prezzo, un po’ più basso, come una grande opportunità e un grande risultato. Alla fine arriverà il sofferto sì da parte di Bruxelles, e si andrà avanti come si è fatto finora.
Perché intanto non si parla più di spending review?
Non è una grande novità che le spending review siano state messe in soffitta. Dopo i commissari Bondi, Cottarelli e Gutgeld, ci si scontra con un dato di fatto banale: i tagli alla spesa vanno a incidere sempre sui redditi di qualcun altro.
Quindi lei lascerebbe la spesa pubblica ai livelli attuali?
La vera spending review avrebbe dovuto tagliare i miliardi dei Fondi Salva Stato. Le somme non dovute regalate dall’Italia agli altri Paesi impattano direttamente sull’indebitamento di ministeri e Bankitalia. Sono soldi caricati sul bilancio, ma che non ci portano nessun beneficio perché non vanno in circolo nel nostro Paese. I tagli alla sanità al contrario hanno effetti negativi per l’economia italiana.
In che modo?
Oltre a intervenire su servizi che sono vitali per i cittadini, comportano riduzioni del personale come è avvenuto in Toscana. In questo modo si aumenta la disoccupazione, e quindi non si va da nessuna parte. Tanto più che nella maggior parte dei casi i tagli sono scaricati vero il basso, cioè verso Regioni e Comuni.
(Pietro Vernizzi)