“Ma certo, non ci saranno problemi, diamo solo qualche giorno ad Alessandro e la cosa si farà”: più o meno con queste parole Fabrizio Palenzona rassicurò Luigi Crespi, nell’estate del 2003, sulla possibilità che Unicredit subentrasse alla Banca popolare di Lodi nel sostenere finanziariamente la holding dell’ex sondaggista di Berlusconi, indebitata fino ai capelli. Era stato un incontro “di peso”: due colossi, stazza 150 chili abbondanti per un metro e novanta, travi cigolanti in quell’ufficio di Tortona. Un incontro politicamente gradito a Roma, dove senza dubbio Crespi aveva ancora qualche amico, soprattutto l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Ma anche qualche acerrimo detrattore, l’allora governatore di Bankitalia Antonio Fazio, convinto al contrario che fosse proprio Crespi l’ispiratore delle polemiche tremontiane contro di lui. E così Fiorani, che per compiacere Berlusconi aveva sostenuto la crescita dell’Hdc senza badare a spese, diventandone insieme socio e finanziatore esclusivo, aveva voltato le spalle a Crespi, innescando un avvitamento finanziario del gruppo che si concluse dopo pochi mesi, inesorabilmente, in un fallimento, degenerato in bancarotta, dalla quale poi recentemente Crespi e gli altri sono stati assolti – ma questa è un’altra e complicata storia.
Dunque era per Crespi l’ultima spiaggia, quell’appuntamento con Palenzona, oggi come allora vicepresidente di Unicredit, ma oggi – in più – inquisito per mafia dalla Dda di Firenze e in attesa di una valutazione da parte del consiglio d’amministrazione di Unicredit previsto per oggi pomeriggio. Crespi uscì rinfrancato dall’incontro: “È fatta!”, raccontò entusiasta ai suoi amici. Non era fatta per niente: un puro miraggio. Promesse vane. Negli ambienti bancari milanesi, del resto, tutti sapevano che Hdc non era più da tempo “bancabile”. La si considerava un “lusso” del satrapo di Lodi, Fiorani.
Non è accertato il dettaglio, ma probabilmente Profumo non dedicò al fascicolo più di 5 minuti, prima di archiviarlo come improcedibile. Dieci giorni preziosi di ulteriore tempo sprecato per Hdc. Il “patronage” di Palenzona era stato, sostanzialmente, incisivo come una piuma. Più che altro, una delle tante millanterie dell’ultimo “banchiere di sistema” – appunto Fabrizio Palenzona da Pozzolo Formigaro, classe 1953 – che ancora resiste, miracolosamente, nel ruolo: resiste non tanto a un vento etico rinnovatore – che in realtà non spira affatto sulle banche – quanto al ciclone della stretta regolatoria, che ha scippato dalle mani dei banchieri il 90% della sovranità che avevano un tempo, e che talvolta impiegavano anche bene, nell’erogazione del credito.
Bisogna intendersi: dalle veline direttamente o indirettamente fatte circolare – come al solito – dagli inquirenti sull’inchiesta fiorentina contro Palenzona non si ricava alcun elemento né certo, né almeno suggestivo per affermare che il banchiere sia colpevole, e comunque anche per lui deve stravalere la presunzione d’innocenza: ci mancherebbe.
Quel che però si profila sul prossimo futuro di “Obelix” – come lo chiamano da tempo amici e nemici -, ma anche di Unicredit, è un problema delicatissimo di opportunità e d’immagine. Tra la decadenza per una condanna o le dimissioni per un disonore e l’imperturbabilità da Buddha che finora Palenzona ha sempre opposto agli scandali piovutigli addosso, c’è una sana via di mezzo, che una multinazionale finanziaria dall’alta reputazione qual è oggi, ma da non oggi, la banca di Piazza Gae Aulenti, dovrebbe auspicare: una via di mezzo che si chiama “autosospensione”. Il gesto consapevole e responsabile di chi vuole evitare imbarazzi all’azienda e alla squadra cui tanto deve. Un gesto volontario, provvisorio, reversibile con onori e risarcimenti. Ma chiarificatore e nobile. C’è da aspettarselo? Si è mai visto un elefante svitarsi le zanne da solo?
Abile e intelligente senz’altro, Palenzona. Ex democristiano di sinistra, ma in ottimi rapporti con il cerchio magico berlusconiano e apprezzato anche da Bersani (che lo definì un “Maradona”). Capace di conciliare diavolo e acqua santa, se si pensa che – lanciato come consulente dal gruppo Gavio – è poi diventato fiduciario istituzionale del rivale Benetton: è presidente dell’Associazione dei gestori autostradali e nume tutelare del gruppo nel settore degli aeroporti.
Qualche anno fa, proprio nell’inchiesta seguita al crac della Popolare di Lodi, parve che perfino per il voluminoso consigliori fosse giunta l’ora di uscire al casello, magari quello extra-large per i trasporti eccezionali: sia l’ex capo della banca Giampiero Fiorani che il suo braccio destro Gianfranco Boni avevano messo a verbale – come rivelò non “Il Fatto quotidiano”, che all’epoca non c’era, ma “Il Sole 24 ore” – di aver fatto avere guadagni indebiti anche a Palenzona. E per molti milioni di euro.
Fiorani e Boni, come accusatori, sono affidabili quanto Dracula come donatore di sangue. Sta di fatto che quelle accuse non sono mai state smentite nel merito. Il 10 giugno scorso, infatti, la vicenda si è esaurita all’italiana, per stanchezza: i giudici del tribunale di Lodi hanno dichiarato per Palenzona il “non luogo a procedere per intervenuta prescrizione” dall’accusa di ricettazione aggravata e continuata in conseguenza di interrogatori in cui Fiorani e Boni avevano sostenuto, evidentemente senza documentarlo, di aver consegnato a Palenzona 250.000 euro in contanti nel 2003 a Lodi e altri 600.000 l’anno successivo a Milano.
Di sicuro, dunque, restano solo parole d’entusiastica amicizia espresse dal pur stimatissimo lobbista all’indirizzo di quei due banchieri, non precisamente passati alla storia per meriti aziendali e di sistema. Indagando sul caso Lodi, gli inquirenti trovarono nel telefonino di Fiorani – riportò “Il Sole” dalle carte dell’inchiesta – un entusiastico sms di Palenzona che, il 19 luglio 2005, quando il Tar del Lazio decise di respingere il ricorso di Abn Amro contro l’ok di Banca d’Italia all’Opa di Fiorani, gli aveva scritto: “Finalmente la Giustizia! Dopo tanta vergognosa intimidazione organizzata, una luce di correttezza! Forza Fiorani! Alla fine dopo tanta sofferenza Davide trionfa su Golia! Il bene sul male. Il popolare italiano sulla massoneria internazionale! Bravo Gianpiero!”. E ancora, sempre a proposito di quell’inchiesta, quando Palenzona seppe che i pm avevano sequestrato le azioni AntonVeneta contese, scrisse a Boni: “Quante azioni hanno sequestrato i maiali?”, garbatamente alludendo alle toghe. E poi commentò: “Che vergogna! Questo è un Paese senza speranza! Ti sono vicino. Un abbraccio”.
La prescrizione di Lodi non permette di insinuare che tanto caloroso sostegno morale di Palenzona per Fiorani fosse altro da una semplice e pura adesione ideale alla linea del bancarottiere lodigiano. E bravo Fabrizio: non appoggiava Fiorani per bassi interessi economici, lo stimava proprio! Non opportunismo, convinzione! Dunque, il vicepresidente di Unicredit apprezzava lo stile gestionale del banchiere Fiorani. Chissà se lo ha indicato a Ghizzoni come modello.
Non a caso Palenzona, in una lettera al settimanale L’Espresso, fu netto: “Preciso, una volta per tutte, che il mio unico legame di interesse con la Banca Popolare di Lodi e con tutta questa vicenda ed i suoi protagonisti, è rappresentato dal possesso di n. 50 azioni della banca. Queste azioni hanno maturato una plusvalenza di 6,40 euro: cappuccino e brioche in centro. Punto e basta. Sono vent’anni e passa che ogni giorno mi chiama qualcuno per chiedermi una mano o di interessarmi al suo caso. Avrò visto e aiutato migliaia di persone, con la coscienza di non avere mai commesso atti scorretti, esercitato pressioni o essermi adoperato per ottenere un personale tornaconto”. Un filantropo. Con qualche entusiasmo sbagliato, ma nessun interesse losco.
Allora oggi dimostri altrettanta sensibilità togliendo Unicredit da ogni imbarazzo e si autosospenda.