La via è stretta quanto mai. Forse questa stretta via ci farà capire di più sui caratteri della crisi economica in corso sia dal punto di vista internazionale che da quello nazionale. Il governo Renzi, per voce dei suoi ministri competenti e anche dell’Istat, Istituto indipendente, dà da qualche tempo un quadro rassicurante sulla crisi economica in corso. Si parla di ripresa dei consumi, dell’occupazione (soprattutto in riferimento ai dati del passaggio da lavoro a tempo determinato a lavoro a tutele crescenti), di ripresa dei mutui (che segnala un’inversione di fatto rispetto all’aumento dei depositi bancari, frutto della paura della deflazione). I dati della produzione industriale sono oscillanti e incerti, e come è noto riguardano di più i settori interessati dagli andamenti dell’esportazione piuttosto che quelli relativi al mercato interno. 



Spicca il contrasto rispetto alla situazione internazionale, che si aggrava ogni giorno di più: salvo gli Usa, l’economia mondiale è in recessione, soprattutto nei Paesi emergenti, con alcune cadute paradossali che segnano una svolta profonda. Mi riferisco all’Australia, che dopo 23 anni di crescita ininterrotta è entrata in recessione, con immediate conseguenze politiche, quali il colpo di stato nel partito conservatore che in una faida interna ha cacciato Tony Abbott e ha messo al suo posto il suo storico avversario Malcolm Turnbull, liberale ed ex banchiere di Goldman Sachs. L’Australia è in Paese centrale, che non osserva mai nessuno, mentre invece è il vero crocevia archetipale tra l’universo mondo e l’Asia. 



Insomma, si sia entrati o no in una recessione secolare, i dati della ripresa italiana a prima vista restano inspiegabili. Invece per me sono assai semplici. Sintetizzo il mio pensiero tra aderenti condominiali o affittuari della casa reagiscono. Per reagire è bastata una piccola spinta: gli 80 euro, la decontribuzione sui lavori a tutela crescente, la continua ricerca di nicchie idiosincratiche nelle esportazioni, la ripresa a denti stretti della società naturale, sia nucleare sia allargata, ossia la famiglia con nuove coppie che si sposano o convivono, e gli eterni nonni che si svenano per sostenere il welfare sussidiario. 



Ci fosse anche un po’ di spesa pubblica e di helicopter money la società reagirebbe di più e forse la tenuta si trasformerebbe nel passaggio da un equilibrio stazionario a una bassa ma certa ripresa. In più ci vorrebbe un po’ di creatività che oggi manca, e la creatività significa sfidare i miti della monotonia mentale e della paralisi creativa intellettuale. 

Mi riferisco a due medicine che generalmente fanno molto bene. La prima è arcinota ma va protetta e non distrutta e mi riferisco alle forme di proprietà cooperativa e no profit di ogni forma e colore. La seconda è la sperimentazione coraggiosa della cura che anche la stessa Bce aveva ipotizzato nel corso della crisi greca, anche se a denti stretti. E mi riferisco alle cosiddette monete locali (per esempio, Crevit), ossia a monete che possono nel breve o nel lungo periodo sostituire quelle nazionali instaurando una circolarità fiduciaria tra aderenti a un patto esplicito e chiaro che consenta la circolazione di merci in beni e servizi superando il credit-crunch e l’alto costo del denaro. Quest’ultima formula è già in atto con tutte le cautele e le autorizzazioni del caso e quindi va perseguita con coraggio e determinazione.