«È una legge di stabilità senza coperture, che ci espone a una nuova procedura di infrazione europea senza neppure riuscire nell’intento dichiarato di rilanciare l’edilizia e i consumi». È la denuncia del professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie. La nuova Finanziaria è stata approvata giovedì dal consiglio dei ministri. Valdis Dombrovskis, commissario europeo per l’Euro e per il Dialogo sociale, ha subito criticato il nostro governo affermando che “normalmente la Commissione consiglia agli Stati di spostare il peso della tassazione dal lavoro a consumi, proprietà o capitali. L’azione intrapresa dal governo italiano non va in questa direzione, quindi dovremo discutere con loro le ragioni e le potenziali implicazioni”. Renzi però gli ha risposto dai microfoni di Radio 24: “Bruxelles non è il maestro che fa l’esame, non ha i titoli per intervenire sulle scelte economiche del governo. Se Bruxelles boccia la legge di stabilità noi gliela restituiamo tale e quale”.



Professore, ci sono le coperture per le misure contenute in questa manovra?

Le coperture essenzialmente consistono in una maxi-deroga alle regole sul rientro del deficit. Invece che arrivare a un rapporto deficit/Pil dell’1,8%, come previsto dal Fiscal Compact, si arriverà al 2,4%. In questo modo si ricavano 10 miliardi di euro, cui si aggiungono 3 miliardi di coperture transitorie derivanti dal rientro dei capitali. L’obiettivo è evitare un aumento delle imposte.



Che ne è stato della spending review?

C’è un risparmio di spesa di 5 miliardi, ampiamente compensato però da aumenti di altre spese. Su una manovra da 30 miliardi di euro, 13 miliardi sono individuati o con deficit di bilancio o con un’entrata straordinaria. Le riduzioni di imposta non hanno dunque nessuna copertura permanente. E’ un esercizio di imprevidenza fiscale e di illusionismo tributario.

Renzi ha detto: “Se Bruxelles boccia la legge di stabilità noi gliela restituiamo tale e quale”. Come valuta questa dichiarazione?

Questa dichiarazione è tra la follia e l’arroganza, perché la conseguenza sarebbe una procedura di infrazione europea. Quest’ultima comporterebbe che per qualsiasi investitore l’immagine internazionale dell’Italia sarebbe di inaffidabilità. Dopo anni di sacrifici “bestiali”, grazie a cui è stata ottenuta una faticosa discesa del deficit, purtroppo ci troveremmo ancora con l’infrazione alle regole di bilancio. A questo si aggiunge un secondo problema…



Quale?

Di fatto sommiamo le procedure d’infrazione con la violazione delle regole costituzionali. La nostra Costituzione prevede infatti il pareggio di bilancio. Quest’ultimo, come afferma il governo, si può calcolare sottraendo il margine di capacità produttiva inutilizzata. Ma Renzi vi aggiunge anche uno 0,2% di deficit/Pil in deroga per l’emergenza immigrati. Giustificherà questa scelta affermando che si tratta di un evento straordinario o una calamità naturale, inclusi nella stessa Costituzione. Di fatto però siamo in piena violazione della sostanza della carta fondamentale dello Stato.

Il premier ha replicato alle critiche affermando che nel 2016 il debito pubblico diminuirà per la prima volta dal 2007. La ritiene una risposta adeguata?

Questo è un trucco stupido, non un ragionamento sensato. Nel 2007 c’è stata la crisi che ha fatto cadere il Pil e creato infiniti problemi. Renzi continua, se non a dire bugie, a giocare sull’illusionismo. Il problema non è ridurre il rapporto debito/Pil, ma di tagliarlo in modo sostanziale e crescente nel tempo con manovre strutturali credibili.

 

Il taglio del debito previsto dalla manovra per il 2016 non è sufficiente?

Con un rapporto debito/Pil del 132%, non è certo lo 0,6% in più o in meno a fare la differenza. Non dimentichiamo che prima della crisi il governo Berlusconi lo aveva riportato al 104%, avvicinandosi a quota 100%. Questo non ha solo un valore simbolico: al di sopra di quella soglia è più difficile ridurre le imposte perché la percentuale del debito diventa inferiore a quella del Pil.

 

Il fatto di avere tagliato le tasse sulla prima casa è comunque un risultato positivo?

Renzi taglia le tasse sulla prima casa ma lo fa per il motivo sbagliato. L’imposta sulla prima casa non va abolita come misura per il rilancio dei consumi e del settore edilizio, in quanto da questo punto di vista produce effetti limitati. Il suo vero significato è quello di essere una misura a tutela della famiglia. Al ceto medio consente infatti di avere maggiori risorse a disposizione da investire in formazione, in una fase in cui l’Italia sta perdendo quote di iscritti a università e corsi post laurea.

 

E per le famiglie povere?

L’abolizione della tassa sulla prima casa svolge un ruolo essenziale di tutela dei poveri. Una famiglia con il padre disoccupato o sottoccupato quantomeno non finisce sulla strada. E’ quindi una misura con un valore sociale ed etico, ma Renzi si illude se pensa che possa avere effetti rilevanti nel rilancio dell’edilizia e dei consumi. Se vogliamo fare ripartire l’edilizia e i consumi, dobbiamo invece fare ripartire le aliquote marginali della tassazione immobiliare negli altri settori, dove è arrivata a cifre esasperanti. L’aliquota marginale sull’edilizia in affitto arriva infatti al 70-80%, ed è su questa che si dovrebbe intervenire.

 

(Pietro Vernizzi)