Me la piglio. Sì, melapiglio con quelli che, di questi tempi, ancora sostengono di avere ragione. Melapiglio con le loro dicerie. La prima dice: i produttori generano ricchezza. Gli economisti lo teorizzano, quelli dell’impresa si fregano le mani, i politici si danno un gran da fare per distribuirla. A proposito di ricchezza: non è tutt’oro quel che luccica! Andiamo a bomba: è ricchezza produrre auto, abiti, case, alcool…. o lo diventa solo quando tutto questo viene acquistato? Già, è la spesa che fa la ricchezza, altro che le merci non ancora vendute e che, con la crisi, lo restano.



La seconda ragione dice quella della politica: redistribuisce la ricchezza generata dal processo economico. Negletta quella ragione che, con la crisi, deve redistribuire redditi insufficienti perché insufficienti erano i redditi per fare quella spesa che genera reddito. Già, il serpente si morde la coda. La loro “Ragione Sociale” finisce in un cul de sac!



Saltiamo da palo in frasca, mica tanto però, e arriviamo a esplorare la terza ragione, quella del Marketing. Questa dice: il ciclo economico non può attendere che si manifesti la domanda, occorre generarla. Già, si ha bisogno della domanda per smaltire l’offerta e generare la ricchezza. Bene, gli uomini del marketing si danno un gran da fare e questa domanda la creano, la incartano, la rendono irresistibile. Ai consumatori resta solo da acquistare, ma quando mancano i redditi sufficienti a fare quella spesa, quella domanda, per quanto suadente sia, s’ammoscia. S’ammoscia pure la ragione di questi tizi.



E la ragione dei sociologi che studiano la gente che fa la spesa? Eccola, ha il tono dell’anatema: “I consumatori, gente prodiga e men che mai satolla!” Vizio, quindi! Di questo convincono: gli economisti che disdegnano l’economia dei consumi, apprezzando invece la sociologia dei consumi; i politici, che attrezzano agenzie per la tutela del consumatore sopraffatto; quegli intellettuali impigriti che, sempre più, dipendono dal pensiero altrui; pure gli alti prelati della gerarchia ecclesiastica, sensibili a mondare quel vizio. Già, quel vizio che fa il 60% del Pil. Quel vizio, insomma, che ha la virtù di far crescere l’economia!

Visto? Di fronte a cotanta crisi si arrabattano ragioni fragili. E, per l’amor di Dio, basta non se ne può più. Adesso proviamo a raccattare i cocci di queste derelitte ragioni. Con l’attaccatutto di una ragione forte, anzi fortissima, quella della Gente: la domanda comanda! Con l’acquisto generiamo il 60% del Pil. Con l’Iva pagata finanziamo la spesa pubblica. Consumando l’acquistato facciamo riprodurre generando pure occupazione. Diamo spinta al ciclo produttivo. Sostanza alla crescita economica. Dulcis in fundo: con i risparmi finanziamo pure la spesa per gli investimenti della imprese.

Chi può fare di più? Beh, a ben sbirciare, quelli del marketing possono ancora fare. Prima giurare di cambiare registro. Poi così li incastriamo: se, come la crisi mostra, i redditi sono insufficienti per fare la spesa, beh dovete attrezzare una “Nuova Domanda”, non da acquistare, ma da vendere. Sì, perché questa rinnovata domanda acquistata, delle imprese, riducendo i prezzi, rifocilla il potere d’acquisto. Buono per svuotare i magazzini pieni, per poter riprodurre; creare pure occupazione e nuovo reddito. Buon per loro. Buon per tutti, pure per i politici che potranno tornare a darsi da fare, senza doversi azzuffare, redistribuendo redditi a destra e a manca.

In ultimo, con i sociologi mi tolgo un sassolino dalla scarpa: scambiare la virtù del fare la spesa con il vizio è imperdonabile. Ma, noi commiserevoli, vi perdoniamo a prezzo di una penitenza. Chiedete venia, ripetendo cento volte a squarciagola: “Il consumatore sarà forse un imbelle, pure però l’agente economico che fa la crescita!”.