Anche quest’anno abbiamo fatto una “brutta figura” con il resto dell’Unione europea: alla scadenza del 15 ottobre, non abbiamo inviato il testo della Legge di stabilità nella stesura pronta a essere inviata al Parlamento, ma una serie di slides stilate nel modo che potessero essere comprese – ve lo dice una persona che ha insegnato per cinquant’anni tra Stati Uniti e Italia – per studenti del primo anno oppure per i corsi per adulti delle Università Popolari. Nulla di male nell’utilizzare uno stile divulgativo, tuttavia per esprimere un giudizio di merito sulla politica di bilancio ci vuole qualcosa di più: il testo del provvedimento e un’esauriente relazione tecnica.



La stampa si è sbizzarrita a commentare le slides: i “chroniqueur” non potevano fare di più. Concordo a pieno sulle debolezze sottolineate dai colleghi su queste pagine. Credo, però, che non si sia messo sufficientemente l’accento su due punti: il primo è di politica economica basilare, il secondo riguarda la strategia di politica economica internazionale.



Per quanto riguarda il primo punto, la Legge di stabilità non sembra basata su alcun disegno di andamento potenziale dell’economia reale, su come incidere sulle tendenze in atto, su come tornare a un percorso di sviluppo. Dal 1978 sino a tempi recenti, prima che venisse varata quella che allora veniva chiamata legge finanziaria, il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) approvava (spero solo alcune ore prima del varo della finanziaria) La relazione previsionale e programmatica che presentava un quadro della situazione dell’Italia nell’economia europea e internazionale, delle prospettive (spesso differenti scenari) e proposte di economia reale, nonché le misure di politica di bilancio per fare, ove necessario, mutare corso alle tendenze in atto.



Negli anni il documento è diventato troppo voluminoso ed è stato anche accusato di avere un “taglio” eccessivamente “accademico” e quindi non letto da parlamentari super-impegnati. Alla fine degli anni Ottanta, il documento venne rivisto per diventare un’analisi stringata di politica economica (sempre a supporto della proposta di politica di bilancio) con approfondimenti in appendici e riguardi.

Il Documento di economia e finanza, e il suo aggiornamento di qualche settimana fa, al pari di quelli del 2014, quasi non trattano di economia reale dell’Italia in un mondo in rapida trasformazione. L’accento è solo su misure di finanza pubblica. Da tale misure, in gran parte presentate nelle slides che anticipano (o hanno soppiantato?) il disegno di legge di stabilità non si ricava una politica di economia reale né per lo sviluppo economico (politiche industriale e infrastrutturale per la produttività e competitività), né per la politica sociale (impoverimento del ceto medio, problemi dei giovani e delle famiglie), né per gli squilibri territoriali. Quindi, le misure (sarebbe eccessivo parlare di manovra di bilancio) non hanno un contesto di riferimento e lasciano il sapore che siano state concepite per questa o quella parte dell’elettorato cercando – come dicono gli americani – di “acchiappare tutti” quale che sia l’orientamento politico di ciascuno.

Andiamo ora alla strategia di politica economica europea. Ove le autorità europee siano soddisfatte delle slides e del testo (quando disponibile), le misure sono complessivamente espansioniste (non solo è giusto che lo siano, ma avrei osato anche di più visto il rischio di deflazione) e superano i vincoli posti nei Trattati e negli accordi intergovernativi firmati dall’Italia. Ci presentiamo come Enrico IV a Canossa, chiedendo una non meglio specificata flessibilità a supporto della quale abbiamo anche quantizzato pure i costi dell’accoglienza agli immigrati. È una posizione debole e che rappresenta un segno di quanto poco siamo considerati nell’Ue.

Sarebbe stata preferibile una posizione aggressiva: visto che il Trattato di Maastricht ha un quarto di secolo e il Fiscal compact non viene osservato quasi da nessuno, sarebbe stato, a mio avviso, più efficace porsi alla guida degli Stati Ue (non sono pochi) che vogliono un aggiornamento o una revisione dei trattati e documenti conseguenti. Abbiamo perso questa opportunità durante il “semestre italiano”, ma possiamo cercare di riprenderla.