«Il trattato commerciale Usa-Ue rappresenta lo smantellamento definitivo del nostro sistema di welfare pubblico in favore delle assicurazioni private americane. Gli Stati europei si guardino bene dal firmare o sarà l’inizio della fine». È l’allarme lanciato da Antonio Maria Rinaldi, docente di Finanza aziendale all’Università Gabriele D’Annunzio di Pescara e professore straordinario di Economia politica alla Link Campus University di Roma. Il trattato transatlantico (Ttip) ha come obiettivo quello di superare le barriere commerciali tra Stati Uniti ed Europa, e solo nell’Eurozona dovrebbe consentire una crescita ulteriore da 92 miliardi di dollari. Beppe Grillo nei giorni scorsi ha assunto una posizione fortemente critica nei confronti del Ttip, affermando: “Dobbiamo fermarlo con tutte le forze, può distruggere il nostro sistema di leggi sociali”.



Professore, in molti si sono schierati contro il Ttip. Che cosa contiene di così pericoloso?

Sono perfettamente d’accordo con la lettura che fa Grillo. Il Ttip non deve essere assolutamente firmato da parte non solo dell’Italia, ma anche degli altri Paesi Ue. Quello che ha detto il leader dell’M5S, sia pure in modo enfatico, ha un fondo di verità. Noi in questo modo andiamo incontro allo smantellamento definitivo, iniziato già dall’Ue, del sistema del welfare sociale previsto dallo Stato nazionale. L’accordo prevede il libero accesso in tutta l’Europa delle proposte privatistiche di welfare nel sistema pensionistico e nella sanità.



Qual è in questo senso il progetto perseguito da Bruxelles?

L’Ue, mascherandosi dietro al rigore dei conti e al raggiungimento del pareggio di bilancio, sta di fatto costringendo i singoli Paesi a ridurre le coperture del welfare. Questo è funzionale anche al Ttip, in modo che gli americani possano arrivare in Europa con i loro prodotti finanziari. Gli Stati Uniti hanno una storia molto più avanzata della nostra nel proporre sistemi privati per le pensioni e la copertura sanitaria.

Tra chi ha protestato contro il Ttip ci sono anche le associazioni ambientaliste. Secondo lei per quale motivo?



Il motivo è che con il Ttip si abbasseranno tutte le forme di controllo sui generi alimentari. In particolare in Italia abbiamo da tutelare le nostre eccellenze attraverso produzioni di qualità. Il rischio è che ci troveremo il pollo agli estrogeni, quando invece noi abbiamo sempre avuto una legislazione che ci metteva al riparo da queste derive. Al danno si aggiungerà inoltre la beffa …

In che senso?

Nel caso in cui l’Italia non rispetti quanto previsto dal Ttip, poi ci saranno dei tribunali arbitrali internazionali che possono addirittura condannare il nostro Paese.

Il recente scandalo Volkswagen condizionerà i negoziati sul Ttip?

Lo scandalo Volkswagen, senza nulla togliere alle responsabilità più che evidenti della casa automobilistica, può essere un’ulteriore pressione nei confronti del governo tedesco in modo che quest’ultimo accetti definitivamente l’accordo Ttip.

 

Intanto un analogo accordo tra Usa e area del Pacifico è già pronto per la firma. È una ragione in più per firmare o per non firmare anche il trattato atlantico?

È una ragione in più per non firmarlo per un motivo molto semplice: l’intera trattativa è stata segreta. I governi e i cittadini non sono a conoscenza dell’effettiva portata del trattato. Siamo in uno Stato di diritto e viviamo nel 2015, non nel Medioevo, e questo modo di fare non è adatto ai nostri tempi. E’ inaccettabile che un trattato di questa portata non sia stato condiviso con l’opinione pubblica e con tutte le forze sociali presenti nei Paesi europei.

 

Un rapporto commerciale più intenso con gli Usa può quantomeno consentire all’Italia di affrancarsi dai diktat della Germania?

Sarebbe come cadere dalla padella alla brace. Il predominio della Germania non si combatte abbracciando un’altra potenza, bensì modificando l’attuale situazione europea. La Germania va riportata nel suo ambito, anziché fare in modo che determini le politiche degli altri Paesi. Questo a maggior ragione oggi che ci stiamo accorgendo che la Germania è tutt’altro che un esempio di virtù.

 

(Pietro Vernizzi)