«La resa dei conti con Bruxelles sul bilancio italiano è soltanto rinviata. Ma senza investimenti, tasse più eque e lo stop al taglio dei servizi essenziali il nostro governo non è in grado di fornire le risposte che servono all’attuale crisi, che era e rimane una crisi dei consumi». Lo evidenzia Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Da Bruxelles sarebbe in arrivo l’ok alla legge di stabilità. Lo segnalano in via non ufficiale fonti interne alla stessa Commissione Ue. Intanto il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha annunciato che nel 2016 saranno disinnescate le clausole per Iva e accise da 16,7 miliardi. Si tratta però solo di un quinto dei 72 miliardi di clausole in vigore, di cui circa 36 miliardi saranno tagliate nel prossimo triennio.
Professore, si parla di un ok della Commissione Ue alla manovra italiana. Lei pensa che andrà tutto liscio?
Le probabilità che la commissione Ue approvi la legge di stabilità sono elevate, ma più per ragioni politico-discrezionali che non per una genuina convinzione sul fatto che queste siano misure per la crescita.
In che senso parla di ragioni politico-discrezionali?
In questo periodo si vanno affollando numerosi dossier molto più importanti, in primo luogo quello relativo all’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, cui si aggiungono le elezioni in Spagna. C’è un quadro generale che crea preoccupazione a Bruxelles, in quando se mancasse l’adesione del Regno Unito a quel punto l’Ue rischia. I motori si stanno scaldando ora in vista di quanto accadrà tra un anno.
Che cosa potrebbe accadere?
Una parte rilevante dell’opinione pubblica britannica ritiene che l’adesione all’Unione europea e implicitamente all’euro produca più svantaggi che vantaggi. Solo che questo potrebbe provocare una serie di altre conseguenze a catena, inclusa la rimessa in discussione dell’appartenenza della Scozia al Regno unito. Il quadro può diventare problematico finché la situazione non sarà risolta. Quindi in questo contesto i problemi dell’Italia passano in secondo piano. Anche se la resa dei conti è soltanto rinviata.
Intanto il ministro Padoan parla di clausole di salvaguardia da 72 miliardi, di cui 36 miliardi saranno disinnescate in un triennio…
Se come si dice le clausole saranno disinnescate attraverso una combinazione di aumenti di imposte indirette e di tagli di spesa, l’effetto sarà quello di frenare questo inizio di crescita economica.
Lei quale strada ritiene che vada percorsa?
Per quanto riguarda la tassazione il primo criterio che andrebbe osservato è un principio di equità. Se si fosse introdotta una qualche misura di differenziazione delle imposte sulla casa basata sul catasto, questo probabilmente avrebbe reso più gestibile la situazione. È vero che il gettito proveniente dai proprietari di castelli è abbastanza limitato rispetto al totale, ma anziché detassare questi ultimi si poteva utilizzare meglio questa cifra.
È l’unico difetto della legge di stabilità o ce ne sono degli altri?
La legge di stabilità ha diversi aspetti problematici. In primo luogo è molto frammentata, e questo implica che non sia chiaro quali siano le priorità.
E secondo lei quali dovrebbero essere?
Quella che ha colpito l’Italia è una crisi da domanda interna. Se si vuole dare spazio al potenziale produttivo del Paese, è da lì che bisogna ripartire. Bisogna migliorare il potere d’acquisto delle famiglie, che negli ultimi anni è caduto del 20%.
Qual è la strada per raggiungere questo obiettivo?
Se Renzi decide di fare la voce grossa con Bruxelles, potrebbe utilizzare questa autorevolezza per chiedere di togliere dal computo del deficit gli investimenti pubblici. Questi ultimi infatti rimetterebbero subito in movimento l’economia.
Nella manovra ci sono 5 miliardi di spending review. Si poteva fare di più?
La spending review finora è andata a colpire soprattutto le esenzioni fiscali. Ciò però non migliora la situazione del Paese bensì la peggiora. Bisogna quindi evitare quelle decisioni che possono avere delle conseguenze negative, in primo luogo la riduzione della spesa sanitaria. Questa riduzione sposta una parte di spesa dal pubblico al privato.
In che modo è possibile sostenere le imprese?
Occorre ridare spazio al potenziale di esportazioni del Paese, sfruttando le poche opportunità che oggi sono disponibili. Il punto è che la Germania dispone di un elevatissimo avanzo delle partite correnti, pari al 7% del Pil. Per la crescita dell’area europea sarebbe opportuno che questo avanzo fosse utilizzato quantomeno nella stessa Germania. Berlino tende a privilegiare gli interessi interni, ma utilizzare l’avanzo commerciale produrrebbe una catena di effetti positivi, tanto all’interno quanto all’estero, che non possono essere ignorati. A beneficiarne in particolare sarebbe l’intero settore manifatturiero del Nord Italia.
(Pietro Vernizzi)