Le ultime 48 ore sono state particolarmente difficili per la Vigilanza bancaria italiana. E non è detto che la notizia peggiore – per via Nazionale – l’abbia data il Fatto quotidiano, rivelando che il Governatore Ignazio Visco è indagato per ipotesi di concorso in truffa nella vendita della Popolare di Spoleto. Non sembra quello della Popolare umbra il caso giusto per una chiamata di correo della vigilanza nazionale nel polverone della “malabanca”.
Paiono invece esserci tutti gli ingredienti sbagliati: una Procura minore – dell’Italia centrale – che apre volentieri un fascicolo a tutela postuma della presunta violazione di interessi locali contro “quelli di Roma” o “quelli che ci hanno portato via la nostra banca” (riprovarci non guasta mai dopo i casi Imi-Sir o – più recentemente – Trevitex). C’è una banca commissariata nel 2013 dopo un logorante confronto di anni con la stessa Bankitalia. C’è un assetto proprietario e di governance che ha sempre fatto discutere: una Popolare Spa scorporata dalla sua cooperativa, trasformata in holding e quotata in Borsa (è esattamente ciò che la recente riforma vieta). C’è – per anni – un partner di nome Montepaschi. C’è l’intervento finale di una media banca privata del Nord (Desio e Brianza): ma non prima che a “salvare” la Spoleto ci provi una cordata di imprenditori locali (e soprattutto di “coop” rosse). C’è la classica “Nit Holdings Limited di Honk Kong”, che naturalmente “offriva di più” secondo l’immancabile esposto di un piccolo azionista che si crede truffato dalla stessa Banca d’Italia. No, se la Vigilanza può avere un cruccio è soltanto non aver risolto prima il “problema Spoleto”. Ma il problema di Visco – ogni giorno di più – è proprio questo: non fatto ordine prima, fra Genova e Siena, fra Vicenza e Montebelluna, fra Arezzo, Macerata e Ferrara.
L’ha ricordato in termini burocratici ma crudi il nuovo capo della supervisione Bce, Danièle Nouy. Lo ha fatto l’altroieri all’EuroParlamento, rispondendo a un quesito di un eurodeputato italiano di M5S, Marco Zanni, riguardo la crisi della Popolare di Vicenza. “Una storia di successo della supervisione bancaria europea”, ha detto Nouy. Cioè: un nodo – nella rete ingarbugliata del credito europeo post-crisi – sciolto solo quando a Vicenza, a sud delle Alpi, sono calati gli ispettori da Francoforte. Prima (con la vigilanza Bankitalia retta da Visco e forse anche dal presidente della Bce, Mario Draghi), il nodo si era stretto ancor di più su se stesso.
Ma la doccia più gelida fatta calare dalla Nouy sulle banche italiane e sui loro vigilanti ha riguardato il preannuncio di nuovi stress test nel 2016 e del tendenziale inasprimento dei coefficienti patrimoniali: l’esatto contrario di quanto aveva sollecitato poche settimane fa in una lettera al presidente del Consiglio di sorveglianza Bce il rappresentante di Banca d’Italia, il vicedirettore generale Fabio Panetta. Il quale, proprio ieri mattina, si affannava ad avvertire in Parlamento che la prossima adozione in Italia del meccanismo di risoluzione unico europeo (“bail in”) può avere “potenziali effetti dirompenti”.
Ma non tutti – ieri alla Camera – erano in squadra con Bankitalia nel far muro contro la pur prevedibile durezza della nuova supervisione bancaria integrata. Il presidente della Consob, Mario Vegas, ha eccepito sul “bail in”, ma principalmente perché darebbe a Bce e Bankitalia informazioni riservate che penalizzerebbero la trasparenza sul mercato fino al compimento di un salvataggio.
Tempi durissimi, insomma, per Bankitalia. Che – direbbe un telecronista – “non è immune da colpe” sulle goleade incassate dal sistema bancario nazionale. Ma non è il momento di prendersela con il portiere o con l’allenatore o di spaventarsi per qualche insulto di troppo da parte di ultras. Sarebbe invece il caso di mettere in fretta fuori squadra qualche impresentabile e di rivedere gli schemi. Vicenza e Siena, ad esempio, giocano in ruoli che nessuna squadra di Champions League utilizza più.