«Il taglio delle tasse contenuto nella legge di stabilità è pari a circa tre miliardi di euro, che corrisponde allo 0,2% del Pil ed è dunque molto contenuto. Senza riduzioni di spesa più significative è impensabile andare oltre benefici marginali per il Pil». Ad argomentarlo è Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università Cattolica di Piacenza. Per il Centro Studi di Confindustria (CsC) la legge di stabilità produrrà una spinta sul Pil pari allo 0,3%. Dall’Istat però arrivano dati negativi sul fatturato dell’industria, che tra luglio e agosto è sceso dell’1,6%, perdendo inoltre il 2,4% rispetto all’agosto 2014. Mentre il presidente della Bce, Mario Draghi, ha fatto capire che il Quantitative easing potrebbe essere ampliato a dicembre.



Per il CsC dalla manovra ci sarà una spinta al Pil dello 0,3%. Basta tagliare le tasse sulla casa per produrre questo effetto?

Non conosco nel dettaglio la metodologia seguita dal Centro Studi di Confindustria per fare i suoi calcoli. Il dato di fatto è che il taglio delle tasse contenuto nella legge di stabilità è pari a circa 3 miliardi di euro, che corrisponde allo 0,2% del Pil. Si tratta dunque di un effetto piuttosto marginale.



Per quale motivo con questa manovra non si riuscirà a fare di più?

Perché dai 23 miliardi inseriti nelle tabelle della legge di stabilità bisogna togliere i 16,8 miliardi che rappresentano il disinnesco delle clausole di salvaguardia, i quali non erano nemmeno stati contabilizzati. Quindi probabilmente famiglie e imprese non si sentiranno particolarmente sgravate da questo taglio. Si tratta semplicemente del disinnesco di un ulteriore aggravio che avrebbe depresso l’economia, ma non è una cosa che la fa crescere di più del previsto.

Il taglio delle tasse sulla casa però è innegabile.



Sì, ma d’altra parte c’è comunque un aumento del gettito fiscale che rappresenta quindi una sottrazione del reddito disponibile: 2 miliardi sono attesi dalla voluntary disclosure e 1 miliardo dalle aumentate entrate sui giochi. Evidentemente ci si aspetta anche un effetto positivo dagli interventi sulla spesa pubblica, che rischiano però di produrre più una contrazione che un’espansione.

In che senso?

La spending review è pari a 5,8 miliardi, inferiori ai 10 miliardi previsti inizialmente. Ci sono poi efficientamenti vari per 3,1 miliardi, un aumento di spesa sociale che però non compensa queste riduzioni di spesa. Nel complesso non mi aspetto dunque un effetto molto consistente da questa manovra, e il +0,3% potrebbe essere una stima fin troppo ottimistica.

Nel frattempo per l’Istat il fatturato scende. Di quale clima è segno questo dato?

I dati mensili vanno sempre guardati con cautela. Le cifre dell’Istat segnalano però che a cavallo dell’estate una qualche forma di rallentamento c’è stato, sia per la crisi greca di luglio che per quella cinese di agosto. Questo sembra avere lasciato un segno anche nei dati sulle esportazioni, in aggiunta a quelli sul mercato interno.

 

Draghi ha fatto capire che potrebbe “potenziare” il Quantitative easing. Ancora una volta l’economia italiana crescerà solo grazie a fattori esogeni?

Questi fattori esterni favorevoli finora hanno inciso in modo cruciale. C’è anche un recupero di fiducia che non si può sottostimare, perché gli investitori certamente tengono conto del fatto che ci sono riforme in corso, sia pure non ancora del tutto completate. Il fatto che Draghi decida di annunciare che farà di più in futuro segnala piuttosto una forma di preoccupazione per l’andamento dell’economia. C’è evidentemente un “downside risk”, cioè il rischio di crescere di meno rispetto a quanto previsto.

 

Eppure di recente il Fmi aveva reso noto che l’Italia è una delle poche economie mondiali con una performance positiva…

Per il Fmi l’Italia sta andando meglio rispetto alle stime precedenti, in base a cui la crescita sarebbe stata dello 0,8% nel 2015 e dell’1,4% nel 2016. Comunque molto meno rispetto a quanto crescano gli Stati Uniti e anche vari altri Paesi europei inclusa la Germania. È difficile immaginare che l’Italia possa andare meglio degli altri Paesi europei. La ripresa del mercato interno è assolutamente fondamentale, tuttavia non può avere una fonte solo fiscale, soprattutto se il taglio della spesa e dunque delle tasse è così limitato.

 

(Pietro Vernizzi)