La Commissione europea lancia l’anatema: spostare il prelievo fiscale dalla produzione al consumo. Il Governo fa di più, mette “clausole di salvaguardia” ai conti pubblici. Questa norma indica come riuscire, in modo automatico, a trovare ulteriori risorse fiscali se le casse pubbliche si scassano. Vi ronza l’Iva per la testa?
Già, qui ci sta un problema. Anzi, tre! Primo: aumentare l’Iva, quella tassa sulla spesa. Proprio quella spesa con la quale si fa la crescita. Gulp! Se devo spendere un +1% di Iva fa -1% di spesa, che fa -1% di crescita. Se tanto mi dà tanto, ci sarà pure meno da dover produrre, meno da lavorare, meno da guadagnare, meno tasse da prelevare, ancor meno spesa da fare; toh, anche meno Iva da incassare! Bella no?
Secondo problema. Il prelievo fiscale diretto, tassando la capacità contributiva, tassa pure il reddito.
Lo tassa in maniera progressiva, lo dice la Costituzione: chi ha più, paga di più. L’Iva invece, tassando la spesa, ribalta il principio. Paga di più chi ha una maggiore propensione alla spesa. Sì, perché tra tutti quelli che spendono ci sono quelli che spendono proporzionalmente di più. Già, spendono tutto quelli che hanno poco denaro. A chi ne ha di più, per quanto volenteroso nello spendere (magari avrà speso per lo yacht, non comprerà una mucca invece delle bistecche, né la calzoleria invece delle scarpe) resta in tasca il resto, risparmia (Angus Deaton, neo Nobel per l’economia, ha fissato in 70.000 dollari la soglia oltre la quale ci si affranca dal bisogno, pure dalle passioni e dalle emozioni, nel fare la spesa). Et voilà, così chi ha di più sottrae reddito alla spesa e spesa alla crescita per non parlare dell’Iva risparmiata.
Terzo problema: la vendetta! Ovvero il “paradosso della parsimonia”. Quelli che hanno tenuto i soldi al pizzo sono pazzi. Con la crisi, di cui in parte sono responsabili, chi aveva meno avrà ancora meno, quelli che hanno tenuto il resto dovranno spenderlo per compensare le minori entrate. Già, tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino.