La recente visita di Xi Jinping a Londra, accolto con onori regali quali mai si erano visti da molti anni, è un elemento significativo del profondo cambiamento in atto nel sistema delle relazioni internazionali mondiali. La definizione prevalente oggi di queste ultime è quella di un disordine e quindi di un insieme di relazioni interstatuali instabile e precario. 



Le ragioni di tale disordine sono note e in larghissima misura condivise. Una risiede nel progressivo ritiro militare della presenza statunitense su scala mondiale. Un fenomeno che sembra contraddittorio rispetto a quello di segno opposto che si è verificato in Medio Oriente, nell’Africa del Nord e in quella subsahariana sino al Corno d’Africa e che ha avuto per protagonisti gli Stati Uniti in questi ultimi vent’anni. Ossia dalla fine degli anni Ottanta, quando al termine della guerra tra Iran e Iraq, conclusasi nella sostanza nella sconfitta degli alleati sunniti e baathisti degli Usa (perché l’Iran resistette all’offensiva scatenata da Saddam Hussein), la situazione nell’area del Golfo si aggravò con la rottura dei rapporti tra i baathisti iracheni e gli Stati Uniti che ebbe come sua espressione l’invasione del Kuwait e la distruzione dei suoi pozzi petroliferi da parte di questi ultimi. 



La risposta che gli Usa diedero a quest’attacco scatenò un effetto domino che via via ha segnato la distruzione dell’ordine interstatuale stabilitosi nell’area dopo gli accordi Sykes-Picot e il trattato di Sevres del 1920. Quel trattato aveva creato una serie di stati dove le minoranze saudite governavano maggioranze sciite salvo che in Siria, dove gli alawiti del clan Assad dominavano invece una maggioranza sunnita. In quel mosaico si sarebbe poi incastonato Israele dopo il 1948 e si sarebbe trasformato il Libano in un sempre fragilissimo potere concertato fra le diverse etnie o gruppi religiosi che dir si voglia. 



La distruzione dell’armata e della polizia irachena, prima, e le primavere arabe, poi, hanno compiuto un’opera di distruzione a cui solo recentemente si cerca di porre rimedio. Ciò è passato secondo l’ordine “naturale” della storia attraverso una reinserzione nel sistema internazionale di una potenza prima da esso esclusa come l’Iran e dall’altrettanta importante ricostruzione dell’ordine militare in Egitto, vero antemurale che ogni tendenza disgregatrice di ciò che rimane delle rovine di quello che fu l’antico impero ottomano incontra. 

Naturalmente quest’opera di ricostruzione in corso, per essere compiuta, abbisogna della pacificazione tra le tribù libiche e la ricostruzione dell’ordine siriano, che sino a oggi ancora si regge sul potere archetipale della dinastia degli Assad. In questo gioco ricostruttivo non poteva non inserirsi la Russia con la ferma determinazione di sostenere quel punto archetipale e che mentre ricostruisce in quest’area disvela una volontà di riscrivere i confini tracciati dopo il crollo dell’Impero Sovietico attraverso l’annessione della Crimea e la guerriglia asimmetrica scatenata in una Ucraina di cui non si vuole assolutamente l’annessione all’Unione europea. 

L’elemento determinante, quindi, delle relazioni internazionali e interstatuali a cavallo tra l’Europa, la Russia, la Turchia e il Medio Oriente altro non può che essere definita come una distruzione degli antichi stati post-Prima guerra mondiale. Naturalmente la guerra per procura, condotta dalle potenze statuali saudite contro l’Iran e i suoi alleati, altro non fa che aggiungere distruzione alla distruzione in corso. Anzi, per certi versi, è una delle concause primarie della medesima. 

Perché è importante ricordare queste vicende mentre si richiama l’attenzione sulla visita del leader cinese nel Regno Unito? La ragione la si comprende solo se si ha in mente l’altra area di distruzione del sistema di relazioni internazionali vigenti in Asia a partire, non tanto dalla Seconda guerra mondiale, ma dallo storico disgelo tra Cina e Usa, voluto dai repubblicani americani, da Nixon e da Kissinger in primo luogo negli anni Settanta. Quella che nacque come un’operazione di indebolimento dell’Impero sovietico, dopo il crollo dell’Armata Rossa e dell’Urss in Afghanistan, dopo la disastrosa decisione della finanza internazionale di fare entrare la Cina nel Wto tramite i democratici clintoniani, si è trasformata in un’irresistibile, sino a oggi, ascesa della Cina sul piano internazionale. 

Naturalmente un Giappone disarmato e una presenza militare Usa indebolita nell’area e una scuola di sinologi che hanno interpretato l’ascesa cinese non come quella di una potenza aggressiva (quale fu per esempio quella della Germania rispetto all’Europa di fine Ottocento), hanno prodotto una miscela culturale esplosiva di disimpegno dell’Occidente intero dall’area. Con contraddizioni paradossali, per certi versi incredibili, per chi crede che il sistema delle decisioni sia retto solo da un insieme di razionalità strumentali e non invece da un’infinità di concause subliminali e irrazionali. Si pensi al fatto che mentre gli Usa e la Cina, sino a qualche mese fa, hanno continuato ad avere relazioni di scambio tra le rispettive forze armate, il recentemente conclusosi negoziato sul trattato di libero scambio transpacifico esclude la Cina includendo, invece, i suoi secolari nemici, come il Giappone e il Vietnam. La conseguenza è stata l’emergere di ostilità militari sinora non sfociate in conflitti ma solo in attriti tra la Cina e gli Stati Uniti, e tra la Cina e tutti i suoi paesi confinanti, mentre le navi cinesi attraversano il raddoppiato Canale di Suez e navigano con quelle russe in un Mediterraneo che disvela un sistema di relazioni sempre più precariamente instabili e potenzialmente conflittuali. 

Anche la Cina, inoltre, ha reso manifesto un progetto imperiale che è stato annunciato al mondo come la nuova “Via della Seta”, ossia un colossale progetto di creazione di infrastrutture che dallo Xing Kiang dovrebbe, attraversando l’Eartland, giungere sino nel cuore delle nazioni slave del sud e attraverso il centro Europa raggiungere i Paesi Bassi e attraversare la Manica. Di qui la decisione cinese di creare la Banca asiatica d’investimento per le infrastrutture, vero progetto alternativo al Fondo monetario internazionale e a cui, nonostante il divieto reso esplicito dagli Stati Uniti, hanno aderito tutte le nazioni asiatiche, del Golfo ed europee, sicché solo gli Usa e il Giappone oggi non ne fanno parte, rendendo evidente la stupidità diplomatica degli Usa e l’incapacità strategica del suo establishment. 

Nessuno sembra aver letto Machiavelli laddove dichiara che i nemici, se non vengono lasciati indisturbati, si debbono non ferire, ma, una volta disturbati, uccidere. E questo gli Usa proprio rispetto ai cinesi non possono farlo. Possiamo dire quindi che l’ordine imperiale, creato dagli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale, è ora completamente distrutto e che uno dei fattori di tale distruzione, oggi, risiede nella convinzione che il governo conservatore del Regno Unito e l’establishment di quest’ultimo hanno di poter fare a meno dell’alleanza strategica con gli Usa nella costruzione di un nuovo ordine internazionale. 

Che questo sia vero lo conferma il fatto che la strategia cinese mira a creare nel Regno Unito un punto archetipale, il polo ultimo, nella nuova Via della Seta. E lo fa in alleanza con l’inconsapevole Francia che, nella sua esausta potenza imperiale che la conduce a uno stordimento strategico, si allea al Regno Unito in questo progetto, come dimostrano gli accordi siglati tra francesi, britannici e cinesi per costruire due centrali nucleari nel Regno Unito, e per iniziare a instaurare rapporti economici sempre più forti cementati anche dalla volontà britannica di permettere la convertibilità della moneta cinese su scala internazionale attraverso la piazza finanziaria di Londra, che in questo modo si porrebbe, ancor più fortemente, in competizione con Wall Street. 

Se si pensa che già le transazioni sul gas e sul petrolio tra la Russia e la Cina avvengono nella moneta cinese e non con il dollaro si comprende come anche l’ordine internazionale finanziario, basato sull’egemonia del dollaro, si avvii alla distruzione. Se si pensa, inoltre, che il 2016 sarà l’anno in cui scadono i quindici anni, dopo la fatidica data del 2001, quando si compì il misfatto di fare entrare la Cina nel Wto, e che quindi l’Ue dovrà sottoporre la Cina al cosiddetto esame di esser o no “Stato di mercato”, ben si comprende allora la tragica centralità strategica di questi anni e di questa visita cinese nel Regno Unito, a maggior ragione se l’Unione europea concederà a una dittatura spietata, caratterizzata da un capitalismo monopolistico di stato terroristico, lo statuto di “Stato di mercato”. In questo caso anche l’ordine economico internazionale che abbiamo conosciuto dopo la Seconda guerra mondiale si avvierebbe a distruzione. 

L’utopia britannica è quella di emergere da questa distruzione attraverso un’alleanza neo imperiale tra il giovane Commonwealth (tutto è relativo) e il vecchissimo Impero di Mezzo. Questo disegno neo-imperiale sino-britannico dovrebbe rispondere, da un lato, alla malattia virale di un’Europa dominata dalla deflazione tedesca, e, dall’altro lato, al declino che a molti pare inarrestabile degli Usa. Non a chi scrive, tuttavia, che spera che la crisi economica cinese in corso, che è ben più profonda di quanto non si creda, di fatto ostacoli questo tentativo. Purché non si aggiungano macerie a macerie.