“È indispensabile che il Credito Cooperativo riesca a trovare una soluzione di unitarietà. Per tante ragioni. In positivo perché chi vorrà dar vita alla capogruppo dovrà mettere in campo risorse di ogni aspetto, sotto ogni fronte, risorse così importanti che il Credito Cooperativo non può permettersi di frammentarle e disperderle. In negativo, la creazione di più gruppi rappresenterebbe la balcanizzazione del Credito Cooperativo”. 



Sono più di nove mesi che Alessandro Azzi, presidente di Federcasse, non rinuncia a battere ogni volta sul tasto dell’unitarietà: fin da quando, scongiurato il rischio di una riforma per decreto, le Bcc italiane si sono messe al lavoro sul loro progetto di autoriforma. Progetto completato nel corso dell’estate all’insegna della quasi unanimità ai vertici Federcasse: ma non ancora approdato al decreto del ministero dell’Economia anche perché una singola componente locale della cooperazione creditizia – quella trentina – frena ancora sulla creazione di una sola capogruppo. Lo stesso governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, intervenendo alla Giornata del risparmio, ha osservato che ”l’’ipotesi di un gruppo unico, se condivisa all’interno della categoria, presenta sicuramente aspetti positivi”. Ha però ancora sollecitato “consenso”, preoccupato che un possibile “arresto del percorso di riforma”. 



Anche Azzi – parlando in questi giorni come presidente della Bcc lombarde, durante il convegno annuale tenutasi all’Expo di Milano – ha ribadito ciascuno dei dieci punti alla base dell’autoriforma: la nuova declinazione della mutualità in chiave di meritevolezza e coesione all’interno di un gruppo paritario. ”Penso che non possiamo immaginare che quando ci sarà la riforma, cioè la capogruppo avremo risolto tutti i nostri problemi, ma certamente ci saremo dotati di strumenti adeguati per garantire dal nostro punto di vista nel nostro ruolo la sana e prudente gestione delle Bcc che è il primo problema, la patrimonializzazione, che è un problema subito a fianco”. 



La via del cambiamento è stata imboccata in modo consapevole dal Credito cooperativo. “Ci serve un quadro normativo – ha detto Azzi – che valorizzi i nostri connotati distintivi e che convinca a tenere ferme, con intelligenza, con responsabilità, le ragioni dell’unità. Distintività e coesione sono gli elementi essenziali per qualsiasi strategia di sviluppo imprenditoriale durevole, efficace, efficiente e nella stabilità nel medio, lungo e lunghissimo periodo”. Il periodo del “patto fra generazioni” che corrisponde alla dimensione storica e temporale della mutualità.

La riforma – ha ripetuto Azzi – non è figlia di una pressione episodica delle autorità monetarie italiane, ma delle molteplici spinte al cambiamento maturate nel difficile crogiolo della grande crisi finanziaria. “Da un lato – ha ricordato Azzi – a fine 2014 è entrato in vigore il nuovo meccanismo di vigilanza unico previsto dall’Unione bancaria, con il progressivo consolidarsi della stessa idea di unione delle normative collegate, alcune in procinto di diventare operative a breve, come le nuove regole per la prevenzione e risoluzione della crisi e il nuovo schema di protezione dei depositi”. 

Dall’altro – ha riconosciuto il presidente nella tradizionale “chiacchierata al caminetto” con i leader delle “sue” Bcc – ha pesato la mancata realizzazione di quel fondo di garanzia istituzionale (Ips nel gergo europeo). “Un fondo istituzionale è stato un obiettivo a lungo perseguito e per il quale noi come Federazione lombarda ci siamo spesi con sollecitazioni decise. Ma, occorre riconoscerlo, il movimento del Credito Cooperativo non è riuscito per tempo a portarlo a termine per via di quelle che il lo stesso capo della vigilanza della Banca d’Italia, Barbagallo, nel febbraio 2015 a Bolzano ha definito resistenze e esitazioni all’interno della categoria”.

E allora – mentre le semestrali chiuse a giugno, intanto, pongono “interrogativi complicati” e le previsioni per i bilanci del 2016 giustificano “inquietudini” – il Credito cooperativo è costretto ad affrontare la fase iniziale dell’Unione bancaria, il 2016, “che è la fase più impegnativa e piena di incognite, privo di uno strumento indispensabile di prevenzione, di intervento, di garanzia, privo di un presidio di proporzionalità strutturata, privo di un collante di coesione che ci avrebbe portato sì a una integrazione più intensa, ma in modo progressivo e graduale”. A tutta la platea è stato chiaro che se il fondo di garanzia istituzionale è “strumento indispensabile” esso è davvero efficace se è unico: costruito all’interno di un gruppo unico. Ma gruppo unico non è sinonimo di super-concentrazione, di “catena di fusioni”, anzi: il gruppo unico – eventualmente reso più flessibile da sottogruppi – è il contenitore utile a dare robustezza collettiva alla declinazione della cooperazione bancaria nel ventunesimo secolo.

“Non è la dimensione che salva, è la qualità del governo societario che fa la differenza”, ha voluto precisare il presidente Federcasse. Certamente però il percorso di aggregazione tra Bcc è utile, soprattutto in questa fase, in certi casi necessario, ineludibile: ma va perseguito secondo logiche e impostazioni che trovano sintesi e guida nella Federazione, la casa di tutti. “Se l’obiettivo è la messa in sicurezza, bisogna farlo secondo logiche e regole impostate nell’interesse generale, altrimenti si mette in miglior posizione la situazione di qualcuno, si lascia in situazione difficile la posizione di qualcun altro e poi comunque anche i primi devono andare a soccorrere i secondi”. 

Unità, ancora unità: “Non esiste il singolo sportello di una singola Bcc isolata e autonoma: anche il singolo sportello dell’ultima è più sperduta Bcc è uno sportello del Credito Cooperativo e il Credito Cooperativo insieme, fatto di piccoli, insieme è una forza ed è una delle solidità dell’industria bancaria italiana”.