La discussione politica ed economica è ormai entrata nel vivo del disegno legge di stabilità, approvato dal Consiglio dei ministri il 15 ottobre scorso. Come ogni anno, la manovra non è stata accolta con grande entusiasmo dal mondo politico: c’è chi accusa il governo di voler detassare i ricchi a scapito dei poveri e di favorire il riciclaggio e l’evasione; c’è chi promette battaglia per i tagli alla sanità e chi punta il dito contro l’incremento del deficit.
Naturalmente, sono tutti aspetti parzialmente veri. Se si considerano le cifre contenute nel comunicato stampa del Governo, si scopre che più della metà degli impegni (16,8 miliardi su 26,5 complessivi per il momento) è finalizzata all’eliminazione di clausole di salvaguardia pregresse (aumento di accise e Iva dal 2016) e che, parimenti, più della metà delle risorse (14,6 miliardi) proviene dalla flessibilità già concessa dall’Ue, al netto di un’eventuale ulteriore flessibilità a fronte dell’emergenza migranti. Sarebbe certamente meglio effettuare tagli qualitativi alla spesa pubblica (la cosiddetta “spending review”), che però non si riescono mai a fare se non in misura asettica e lineare. Tuttavia, finanziare parte della manovra in deficit non significa necessariamente creare danni economici, purché i soldi siano ben spesi e non vadano soltanto a incrementare il debito.
Tanta polemica si è concentrata sull’abolizione dell’Imu sulla prima casa dove alcuni hanno gridato allo scandalo perché la misura avrebbe agevolato indistintamente chi vive in un castello e chi vive in un misero appartamento. Ma quanti italiani abitano in un castello? Secondo stime de Il Sole 24 Ore, l’esenzione Imu su immobili di lusso, poi stralciata dalla manovra, avrebbe interessato circa 73.000 abitazioni accatastate nelle categorie A/1, A/8 e A/9. L’eliminazione dell’Imu, inoltre, vale circa 4 miliardi, molto meno della neutralizzazione delle clausole di salvaguardia sopra accennate; dunque, perché tanto rumore?
In senso lato, poi, il capitolo Imu include anche l’esenzione per tutti i terreni agricoli utilizzati da coltivatori diretti, imprenditori agricoli professionali e società. Tale misura si tradurrà certamente in un beneficio a favore di un settore, l’agricoltura, in notevole crescita soprattutto negli ultimi due anni come fattore produttivo: nel secondo trimestre 2015, ad esempio, l’export agro-alimentare italiano si è confermato ad alti livelli, soprattutto nel Mezzogiorno, con ortofrutta, mozzarella di bufala, conserve di Nocera, caffè e pasta napoletana, crescendo più del doppio rispetto alla media italiana (14,8% a fronte del 7%). Guardare all’abolizione dell’Imu esclusivamente in termini di taglio improduttivo – come l’Unione europea – o in termini di regalo ai “paperoni”, come la “minoranza dem”, mi sembra riduttivo.
Sempre la “minoranza dem” si è fortemente indignata delle scarse misure a sostegno della povertà, che non farebbero dire nulla di sinistra alla manovra. Preso atto dello stanziamento (600 milioni per il 2016 e 1 miliardo dal 2017), vale la pena di entrare nel merito. La proposta, oltre al “Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale” con la dotazione indicata, prevede l’istituzione, in via sperimentale per il triennio 2016-2018, di un “Fondo per il contrasto alla povertà educativa”, alimentato da versamenti delle fondazioni bancarie, nell’ambito della loro attività istituzionale, per finanziare progetti di contrasto alla povertà educativa a fronte di un credito di imposta concesso sui contributi versati: ancora non sappiamo quali saranno le caratteristiche di tali progetti, né è stata fornita una chiara nozione di “povertà educativa”, ma l’idea, dove potrebbero rientrare tante associazioni votate al recupero di larghe fasce di popolazione soprattutto giovanile (basti pensare ai centri di aiuto allo studio), mi sembra molto interessante e, almeno in bozza sulla carta, avrebbe tutta l’aria di andare nella direzione giusta, favorendo, per così dire, l’opera dal basso, radicata nel territorio, piuttosto che distribuire risorse dall’alto, come è stato fatto con la “social card”, senza avere il controllo della destinazione finale.
La Legge di stabilità viene di solito promulgata a fine anno e, naturalmente, tra il disegno legge e la legge definitiva si frappone tutto il dibattito parlamentare, alla fine del quale il numero di emendamenti potrebbe essere tale da stravolgere il testo iniziale, salvo la solita raccomandazione di lasciare i saldi invariati per far quadrare i conti e salvaguardare così i principi contabili, tanto cari all’Ue.
Mi auguro vivamente che il dibattito non affronti soltanto l’Imu o l’uso del contante, ma entri nel vivo di problematiche come quelle che ho cercato di evidenziare, lasciando da parte l’ideologia. Sarebbe davvero la volta buona.