«Il governo Renzi si inserisce appieno nella tradizione della socialdemocrazia europea, e quindi non ci possiamo aspettare né che riduca la spesa, né che tagli le tasse. Il motivo è politico: a questo governo la spesa pubblica piace». Nicola Rossi, docente di Analisi economica all’Università Tor Vergata di Roma ed ex deputato prima del Pd e poi del Gruppo Misto, commenta così le dimissioni di Roberto Perotti da commissario della spending review, incarico che ricopriva insieme a Yoram Gutgeld. Perotti ha spiegato la sua decisione con queste parole: “Basta con la politica. Torno per un po’ negli Stati Uniti a fare ricerca. Forse scriverò un saggio sulla spesa pubblica in Italia e come mai non si riesce a tagliare”.
Professore, che cosa c’è dietro alle dimissioni di Perotti?
Il nodo è politico. Roberto Perotti rappresenta una cultura economica liberale, e il commissario aveva immaginato di trovare un’eco nel governo Renzi. Le sue dimissioni segnalano che questo non è possibile e che da parte dell’esecutivo non c’è da aspettarsi molto per quanto riguarda la volontà di ricondurre lo Stato nel suo alveo, ridefinendo il perimetro dell’operatore pubblico.
Quali sono le vere intenzioni del governo per quanto riguarda la spending review?
Parlando di fronte ai gruppi parlamentari del Pd, il presidente del Consiglio Renzi lo ha detto chiaramente: “Dobbiamo far stare tranquilli gli italiani”. Se si dice questo significa che la stagione delle riforme è finita, che la revisione della spesa non si farà, che la riforma della Pubblica amministrazione è evanescente. A questo punto il quadro è chiaro: su quel fronte dal governo non ci si può aspettare nulla.
In quest’ottica, lei come valuta la legge di stabilità?
La legge di stabilità parla da sola. Il governo ha deciso di non fare un’operazione che sarebbe stata assolutamente importante e necessaria: intervenire per valutare singoli aspetti della spesa pubblica, in modo da rivederli fino a cancellarli. Ho l’impressione però che queste misure non siano proprio nelle corde del governo.
Dopo Giarda, Bondi e Cottarelli, ora anche Perotti lascia. Vuol dire che in Italia la spending review è impossibile da realizzare?
No, anzi va da sé che la spending review si può fare. Diversi Paesi nel mondo l’hanno attuata, e quindi sarei stupito che non si potesse fare anche in Italia. Il punto è che ci deve essere la volontà politica. Stiamo chiedendo a un governo socialdemocratico di fare una cosa che socialdemocratica non è. Il governo Renzi appartiene visibilmente alla tradizione della socialdemocrazia europea, e quindi queste cose non le può fare.
Sulla spending review Renzi si era impegnato personalmente. Era una mossa solo di facciata?
Probabilmente no, ma come in ogni storia i conti si fanno alla fine. La spending review è una cosa che visibilmente questo governo dimostra di non essere in grado di fare. Troverei strano del resto che fosse un governo socialdemocratico a fare una vera revisione della spesa che finanzi un taglio di tasse.
In concreto però come si può tagliare la spesa senza gravi conseguenze sociali?
Le faccio un esempio. In Italia esistono 68 università statali, molte delle quali fanno tante cose male, e questo va essenzialmente a svantaggio delle classi meno abbienti. Se noi avessimo meno università e potessimo finanziare un programma di borse di studio, offriremmo un servizio migliore agli italiani.
Che cosa rischiamo nel medio-lungo periodo senza una spending review seria?
Quest’anno stiamo aumentando il disavanzo, e quindi il debito pubblico sicuramente aumenterà. Il governo spera che la crescita di Pil e inflazione porti a una riduzione del rapporto debito/Pil nel 2016. È però tutto da vedere, perché non è affatto detto che le previsioni governative si verifichino.
Quali potrebbero essere le conseguenze?
Noi continuiamo a essere costantemente vulnerabili per il debito che ci portiamo appresso. Basta uno stormir di fronde perché l’Italia si ritrovi in una situazione difficile. Lo ha capito benissimo la Bce, che non a caso ci aveva invitato a usare i soldi risparmiati sugli interessi per ridurre il debito. Il governo però non ha voluto ascoltare, e anche questo non è casuale: a un governo socialdemocratico piace molto la spesa pubblica.
(Pietro Vernizzi)