La Commissione Ue, chiamata a decidere se promuovere o bocciare la Legge di stabilità italiana, ha optato per una via di mezzo: rimandarla alla prossima primavera. L’Italia aveva chiesto degli ulteriori margini di flessibilità rispetto alle regole del Fiscal compact, giustificandoli con investimenti, riforme e migranti. Ed è proprio su questi tre temi che Bruxelles si esprimerà in primavera. Nel frattempo il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, ha sottolineato che “né la clausola delle riforme strutturali, né quella degli investimenti possono essere usate per compensare il taglio della tassa sulla prima casa”. E ha aggiunto Dombrovskis: “Le recenti decisioni sulla tassazione della casa non appaiono in linea con l’obiettivo di raggiungere una struttura fiscale più efficiente spostando il peso della tassazione dai fattori produttivi ad altre basi di reddito”. Ne abbiamo parlato con Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica all’Università degli Studi di Milano-Bicocca.
Qual è il senso di questo rinvio della decisione Ue alla prossima primavera?
È una via di mezzo tra la necessità politica di dire di sì e una perplessità a livello economico. Lo interpreto come un sostanziale disaccordo sul piano economico, che viene congelato per la necessità di non disturbare un’azione di governo che comunque ha dato l’impressione di volersi impegnare su un terreno riformatore. Il paradosso è che in primavera, quando la Commissione Ue dovrà dare la sua risposta definitiva, non avrà informazioni aggiuntive sull’anno in corso.
Da qui a primavera il governo dovrà accelerare sulle riforme?
Sì, perché dal punto di vista della contabilità nazionale e del settore pubblico in primavera non sono previste novità. L’unica informazione nuova è se effettivamente le riforme staranno o meno andando avanti, e quindi a quel punto il governo dovrà dimostrare di averle in corso.
Poniamo che in primavera l’Ue dica no alla flessibilità. A quel punto si renderà necessaria una manovra aggiuntiva?
La Commissione Ue ha approvato la legge di stabilità con riserva. Non può chiedere quindi di fare delle manovre aggiuntive nel corso dell’anno. Se fossero revocati questi margini di flessibilità che il governo italiano si è preso e che a malincuore l’Europa gli ha concesso, le ripercussioni si sentiranno nella legge di stabilità 2017.
Dopo gli attentati la Francia ha chiesto una deroga alle regole europee di bilancio, e la stessa Italia ha chiesto deroghe per l’accoglienza dei migranti. Che senso ha porre dei paletti se poi tutti chiedono delle deroghe?
La stessa Commissione Ue ha messo le mani in avanti dicendo che queste ragioni particolari possono essere tenute in conto, purché riguardino effettivamente i costi dell’accoglienza degli immigrati. Nel caso dell’Italia Bruxelles starà molto attenta a distinguere i costi aggiuntivi sostenuti per l’immigrazione dalle normali spese per il pattugliamento delle acque territoriali.
Ma non è un paradosso che la Germania chieda rigore, quando fu la prima a beneficiare delle deroghe?
In effetti le prime deroghe furono concesse nel 2003 a Germania e Francia, che avevano sforato i parametri sul rapporto deficit/Pil. L’Italia disse sì alle deroghe, perdendo l’occasione di essere rigida sul mancato rispetto delle regole che gli altri avevano imposto. Ma nel 2011 Berlino e Parigi non contraccambiarono il favore all’Italia che era in difficoltà.
Dombrovskis ha criticato la scelta di tagliare la Tasi. Ha ragione?
L’Europa ha in parte ragione. Quelle sulla casa sono le imposte considerate tra le meno distorsive della finanza pubblica, o quantomeno quelle meno in grado di disturbare le attività economiche. È quindi vero che il governo va a ridurre in misura eccessiva tasse che non sono quelle prioritarie. Un alleggerimento fiscale era necessario, ma il governo ha voluto scegliere tasse diverse da quelle auspicate dalla Commissione Ue.
Secondo lei, quali erano le vere priorità?
Tagliare il cuneo fiscale sul lavoro era molto più urgente. Un’altra priorità, secondo me, è ridurre le tasse in favore di quelle famiglie che avendo degli obblighi di spesa legati a figli piccoli, sicuramente dedicherebbero maggiori introiti ai consumi, riattivando così il circuito economico.
(Pietro Vernizzi)