Non è stato certo il discorso di un presidente uscente quello di Alessandro Azzi, ieri all’assemblea Federcasse. Nulla, in effetti, durante e attorno il plenum annuale delle 370 Bcc italiane, ha anche solo sfiorato il tema della successione di Azzi: che pure ha preannunciato da mesi l’intenzione di passare la mano quando l’autoriforma del Credito cooperativo italiano – appprovata ancora in estate – sarà formalmente recepita dal Tesoro e trasformata in regulation.



“Il decreto arriverà prima della fine dell’anno”, ha nuovamente assicurato il sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta al “popolo” delle Bcc. È comunque verosimile che quel giorno Azzi sarà ancora presidente della Federcasse. Deciderà il nuovo consiglio nazionale, convocato per giovedì 26 novembre: ma non sarebbe improbabile se un orientamento condiviso fosse maturato già ieri nella parte riservata dell’assemblea Federcasse.



Ieri intanto Azzi – davanti fra l’altro al ministro del Welfare Giuliano Poletti – ha parlato decisamente al futuro: delineando il “terzo tempo” del Credito cooperativo italiano. Terzo secolo di vita, il ventunesimo, per le ex casse rurali e artigiane. Terza svolta regolamentare, dopo quella originaria 1937 e quella europea del 1993. Terzo stadio nell sviluppo organizzativo di lungo periodo: dopo una lunga fase “atomistica” e quella del “sistema a rete”. Ora serve “più coesione”, ha ribadito Azzi: quella “coesione integrata che non abbiamo a suo tempo realizzato”, ha detto con franchezza il leader del Credito cooperativo (sui giornali in mano ai delegati c’era la notizia della fusione decisa fra due centrali del potente credito coopertivo tedesco: la Dgz nazionale e la Wgz del land renano).



L’asset-Paese resta, ha ricordato Azzi: soci passati in 22 anni da 350mila a oltre 1,2 milioni, sportelli raddoppiati a 4.450, credito alle imprese moltiplicato per sette volte, col raddoppio della quota di mercato nazionale. Non da ultimo: patrimonio aggregato triplicato, con con coefficienti superiori. Eppure di una svolta c’è bisogno: e il progetto di autoriforma del Credito cooperativo è stato consegnato a governo e Bankitalia cinque mesi prima che entrassero in vigore le nuove normative europee Srep-1 (vigilanza microprudenziale) e a Brrd (risoluzioni bancarie “bail in”, senza interventi pubblici).

Sul passaggio Azzi – che è stato a lungo anche ai vertici dell’Abi – non ha mancato di esprimere punti di vista critici anche al di là del perimetro del credito cooperativo. Sono tre i “peccati originali” di una regolamentazione che sembra colpire particolarmente le banche più piccole. Il primo, ha detto il presidente Federcasse, è il rischio di penalizzare, in termini di esigenza di patrimonializzazione, soprattutto il modello di intermediazione vocato al finanziamento dell’economia reale (paradossalmente risultano brillare per coefficienti patrimoniali elevati, e quindi per solidità percepita – talvolta viene enfatizzata anche in termini pubblicitari – quegli intermediari che prestano pochissimo all’economia reale, canalizzando raccolta soltanto verso proposte di investimento del risparmio).

Il secondo “peccato originale” è relativo alla mancata applicazione di un’adeguata proporzionalità che riconosca le cospicue differenze, in termini di rischio, tra grandi banche a rilevanza sistemica e intermediari di territorio. Il terzo “peccato originale” è il più grave: l’erosione “a tavolino”, continua, del patrimonio delle banche solo per effetto (attuale o prospettico) di metodi di calcolo frutto di modelli teorici non sperimentati. Anche il salto dal bail out al bail in presenta problemi per i piccoli intermediari. “Ne sono esempi – ha detto il presidente della Federcasse – l’utilizzo delle risorse del Fondo Unico di Risoluzione sostanzialmente “riservato” a banche di grandi dimensioni, ma pagato da tutti, e la possibilità che per le banche piccole sia preferita un’applicazione delle norme sulla risoluzione delle crisi che conduca in via preferenziale alla liquidazione atomistica”.

Anche per i piani di risanamento, previsti dalla Brrd, è necessario declinare concretamente obblighi semplificati per le istituzioni meno complesse e di dimensioni ridotte. In sede parlamentare, a Bruxelles e a Roma, Federcasse ha rappresentato con successo le istanze del Credito Cooperativo, in particolare riguardo alla necessità di individuare modalità applicative del bail-in coerenti con la forma societaria cooperativa, che tengano conto anche dell’esistenza e della protezione fornita dal Fondo di Garanzia degli Obbligazionisti. la Commissione Ue – ha ancora notato Azzi – mantiene invece “censure” poco comprensibili al progetto italiano di “bad bank”: nonostante l’Azienda-Italia sia ricorsa pochissimo agli aiuti pubblici alle banche in crisi, che in Europa sono invece ammontati a migliaia di miliardi.

Ribadita la necessità di level playing field fra paesi e di principio di proporzionalità fra dimensioni bancarie, Azzi ha però rifatto proprie tutte le linee dell’autoriforma messe a punti in sei mesi di lavoro a tempo pieno dal movimento e da tutte le sue strutture. Anzitutto “un segnale della fiducia da parte dei regolatori verso la capacità del Credito Cooperativo di autoregolamentarsi”. La riforma parte da tre richieste espresse dalle Autorità: a) migliorare la governance del sistema; b) allocare in modo più efficiente le risorse patrimoniali al suo interno; c) aprire il sistema del Credito Cooperativo ai capitali esterni. Agli obiettivi posti dai regolatori, dando senso all’auto-riforma, si sono uniti tre obiettivi espressi dal Credito Cooperativo: 1) valorizzare la dimensione territoriale e l’autonomia delle singole Bcc in funzione della loro meritevolezza; 2) semplificare le filiere, eliminare le ridondanze, accrescere l’efficienza; 3) garantire l’unità del sistema. Dai sei obiettivi complessivi sono derivati dieci punti strategici.

“Abbiamo posto al centro la mutualità come valore essenziale da tutelare e promuovere”, ha rficordato Azzi. E con l’obiettivo di continuare a promuovere l’identità e il ruolo unico delle Bcc, è stato proposto: a) di mantenere nell’assemblea dei soci di ciascuna Bcc il potere di nomina dei membri degli organi di amministrazione e controllo, salvo specifiche eccezioni; b) di aggiornare il numero minimo dei soci (da 200 a 500) e l’entità della partecipazione massima detenibile da ciascun socio (da 50 mila a 100 mila euro), anche in analogia con quanto stabilito per le cooperative che operano in altri settori. Alla preservazione e al rafforzamento della mutualità è connesso l’altro obiettivo prioritario, quello dell’integrazione del nostro sistema. L’integrazione ha una finalità “di garanzia” per poter restare cooperative bancarie a mutualità prevalente.

Ogni Bcc aderirà al “Gruppo Bancario Cooperativo” sottoscrivendo un contratto di coesione (che si sostanzia in un contratto di direzione e coordinamento). Ogni Bcc rimarrà titolare del proprio patrimonio. Se la Bcc non aderisse al Gruppo, andrebbe incontro o alla trasformazione o alla liquidazione. E, in conformità alle norme che tutelano il lavoro centenario e la visione intergenerazionale di queste banche, nonché la logica per cui in una Bcc il socio non è “proprietario”, ma “usufruttuario” del patrimonio accumulato, dovrebbe venire confermata la devoluzione delle riserve indivisibili ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. Con il “contratto di coesione” la singola banca sottoscrive le regole della propria integrazione modulate in ragione della propria meritevolezza.

La Bcc manterrà la propria autonomia gestionale da sviluppare nell’ambito degli indirizzi strategici e degli accordi operativi concordati con la Capogruppo. Il grado di autonomia verrà modulato in funzione di un approccio basato sul rischio, sulla base di parametri oggettivamente individuati. Abbiamo proposto che la Capogruppo svolga l’azione di direzione e controllo che le è richiesta in attuazione di una funzione generale di servizio, attraverso la quale dovrà raggiungere due obiettivi precisi e connessi: 1) sostenere la capacità di servizio ai soci, ovvero la funzione di sviluppo dei territori ela capacità di generare reddito della singola Bcc; 2) garantire la stabilità, la liquidità e la conformità alle nuove regole dell’Unione Bancaria. Aspetto essenziale della proposta è quello relativo all’unità del sistema.

“Il Credito Cooperativo – ha riaffermato con forza il presidente – ha fondato e rafforzato nel tempo la propria identità proprio sulla unione delle differenze. La frammentazione, e anche la divisione in pochi gruppi, non solo indebolirebbe tutto il sistema ed affievolirebbe la capacità di stare sul mercato, ma porterebbe anche ad una nefasta concorrenza interna. L’unità del sistema, invece, integrando un più efficace presidio del rischio, una razionalizzazione dei costi, una dimensione maggiormente idonea ad attrarre capitali esterni, una rilevante capacità di investimento, appare – oltre che una condizione di coerenza storica – un presupposto irrinunciabile di sostenibilità e di competitività nel medio lungo periodo.

All’interno di questo auspicato quadro unitario, si prevede che le Casse Raiffeisen dell’Alto Adige possano costituire, nel rispetto delle particolarità culturali e linguistiche radicate in quel territorio, un proprio Gruppo provinciale, il quale farà sistema con il Gruppo Cooperativo italiano stipulando appositi contratti di solidarietà e di servizio. Tema centrale da cui si è avviata la riforma è quello della patrimonializzazione. Federcasse ha chiesto con forza che fossero le Bcc a mantenere il controllo societario del Gruppo Cooperativo: e il capitale della Capogruppo dovrà essere detenuto in misura maggioritaria dalle Bcc appartenenti al Gruppo. La Capogruppo potrà aprirsi alla partecipazione di capitali esterni (sino ad un massimo quindi del 49% del proprio capitale sociale), puntando ad investitori scelti tra soggetti omologhi o con finalità analoghe. Infine, abbiamo proposto che funzioni di garanzia e verifica delle finalità mutualistiche vengano affidate alle strutture associative, per le quali va favorito un riassetto. Esse potranno divenire soggetti di partecipazione e di rappresentanza territoriale e dar vita a veicoli per l’erogazione di servizi strumentali alle Bcc e al Gruppo.

Non ultime, nella nuova “agenda Azzi”, due direttrici. Un ruolo strategico rilanciato per la Federcasse, con cinque “mission”: 1) il presidio della definizione del quadro normativo nelle pertinenti sedi legislative e regolamentari italiane ed europee; 2) la funzione di garanzia verso le Bcc nella declinazione della riforma; 3) la gestione delle situazioni di crisi nel periodo di transizione verso il nuovo assetto di integrazione in un Gruppo Bancario Cooperativo: 4) la promozione della sostenibilità: 5) il coordinamento delle progettualità di sistema.

Nel periodo “transitorio”, in attesa della riforma, spicca anche la febbre delle fusioni. “Sembrerebbe una merger-manìa ed in certi casi una merger-smània”, ha puntualizzato Azzi. La crescita dimensionale non sempre equivale ad un passe partout per affrontare il cambiamento. Talvolta i problemi originari di una banca possono addirittura crescere se non si percorre la strada giusta. Anche le banche di media dimensione – se mal gestite – possono andare in crisi. Non è la dimensione che salva. È la qualità del governo societario che fa la differenza. In sostanza, la “dimensione” che conta sarà quella del nostro “saper essere insieme”, ovvero saper agire come un Gruppo Bancario Cooperativo. Dove l’aggettivo “cooperativo” è qualificativo non soltanto dei soggetti che formano il Gruppo, ma della finalità dello stesso: essere al servizio del rafforzamento della capacità cooperativa e mutualistica delle Bcc”.

Tutte le carte sono ormai sul tavolo: e il “fattore tempo non è più una variabile indipendente”, ha ripetuto al governo il leader del Credito cooperativo.