Ha fatto bene la Consob a obbligare Cassa depositi e prestiti – ieri a mercati aperti – a precisare eventuali contatti con due grandi soci francesi in Telecom. E Cdp ha comunicato di non avere incontri in agenda anzitutto con l’azionista noto e reale – Vivendi, guidata dal finanziere Vincent Bollorè – già titolare del 20% e intenzionata, secondo la stampa transalpina, a salire ancora fino alla soglia Opa del 24,9%. Ma, quel che più ha rilevato, la Cassa guidata da Claudio Costamagna ha negato anche contatti con Xavier Niel, che su Telecom si è affacciato da pochi giorni, in modo potenziale: acquistando derivati utili a rilevare il 15,1% del maggior operatore italiano delle tlc.



Il comportamento anomalo – molto anomalo – cui la Consob ha dovuto ovviare non è stato per la verità originato dalla Cassa, ma dal presidente di Telecom, Giuseppe Recchi: un manager, peraltro, di lunga esperienza internazionale (è stato presidente di Eni e prima ancora di General Electric per l’Europa). È stato lui, sempre ieri, a rilasciare una lunga intervista al Corriere della Sera, in cui spiccava un auspicio indiretto – ma neppure troppo velato – all’intervento della Cdp in Telecom: in appoggio a Niel. “Un ingresso amichevole” ha detto Recchi al Corriere, raccontando di avere già incontrato il finanziere a Parigi.



La saga Telecom è ormai troppo lunga, noiosa, per molti versi avvilente per il sistema-Paese per essere riepilogata. Se n’è mostrato stufo, nei giorni scorsi, lo stesso Corriere: il quale però avrebbe fatto bene a ricordare anzitutto lo stratega della privatizzazione di Telecom – l’allora direttore generale del Tesoro Mario Draghi, tuttora un intoccabile sulle pagine del quotidiano. Ma soprattutto che tutti gli assetti di controllo disastrosamente susseguitisi nell’ormai ex gigante delle tlc hanno avuto per protagonisti azionisti storici di Rcs. Nell’ordine: Fiat, Unipol (nella cordata Colaninno), Pirelli, Mediobanca, Generali, Intesa Sanpaolo.



Ora proprio il Corriere – ma non da solo – tifa per una ripubblicizzazione spuria di Telecom: attraverso la Cdp, naturalmente in ruolo gregario verso l’ennesimo “investitore internazionale”, che non offuschi troppo le sensibilità mercatiste di un certo establishment nazionale “coi soldi degli altri”. La realtà – da non confondere però con la “verità” – l’ha accennata Alessandro Penati, ex commentatore del Corriere emigrato da tempo presso il concorrente Repubblica: di proprietà di Carlo De Benedetti, che mastica sempre amaro quando deve ricordare che Telecom fu scalata da Olivetti quando non era più sua e quando fu spogliata di Omnitel, a suo tempo duopolista con Telecom nel mobile italiano. E a proposito di duopoli, Penati ha ventilato domenica una fusione Telecom-Mediaset: come semplice ipotesi di lavoro per rispondere a quella che gli appare (non scorrettamente) la vera questione. Non conta più “chi è il padrone di Telecom”, ma “cosa può fare oggi” un ormai invecchiato carrier di telecomunicazioni: cioè cercare un’alleanza a monte con produttori di contenuti; sperando che non sia troppo tardi.

Certo che Bolloré odora lontano un miglio di Silvio Berlusconi, cioè di Mediaset: la stessa che – via EiTowers – si era offerta di comprare RaiWay con soldi veri (e privati) che alla Rai (pubblica, tuttora pagata a piè di lista dai cittadini con canone obbligatorio) avrebbero fatto comodo. Ma il premier-rottamatore Matteo Renzi ne ha approfittato giusto in quell’occasione per un primo ripensamento imbalsamatorio di carrozzoni statali. Il secondo è stato l’azzeramento dei vertici della Cdp: con l’investitura a presidente – personale da parte di Renzi – di Claudio Costamagna, ex capo della Goldman Sachs in Italia e regista delle privatizzazioni decise sul Britannia (fra cui Telecom). Al “Costamagna 2.0”, tuttavia, il premier ha dato una missione “uguale e contraria”: trasformare la Cdp – più che in una “nuova Iri” – in una nuova “merchant bank di Palazzo Chigi”.

“L’unica merchant bank in cui non si parla inglese”: l’espressione è nata giusto all’epoca del premierato di Massimo D’Alema, cioè della “madre di tutte le Opa” su Telecom. L’ennesimo anello di una catena invariabilmente targata Pd o diretti progenitori. La privatizzazione di Telecom viene decisa dal Prodi-1, ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi, super-tecnocrate Draghi, primo presidente Guido Rossi, ex senatore della sinistra indipendente. L’Opa Telecom avviene sotto il breve regno di D’Alema, “primo-premier-comunista”. Del 2007 è la controversa scaramuccia del piano Rovati, dal nome di un portaborse del premier “Prodi-2”, strettamente legato a Costamagna. Nessuno ha mai capito esattamente chi allora volesse cosa fra Prodi, Tronchetti Provera, Rupert Murdoch, i grandi azionisti Rcs nell’ipotesi di break-up di Telecom in Tim (in vendita), rete (destinata alla Cdp) e new media company da aprire a Sky o Rcs. Adesso un’ennesima variante della voglia del Pd di “avere una Telecom”: l’utilizzo dei risparmi postali per portare acqua a una raider francese a leva-derivati, controverso salvatore di Le Monde (altro che new media, è stato l’equivalente francese, in grande, del salvataggio dell’Unità).

Ha ragione Penati: per Telecom meglio Mediaset del “cerchio magico” renziano. Dei super-manager internazionali che fanno scattare l’allarme sul rischio di manovre opache perfino nella piccola Consob italiana.

(P.S.: nel consiglio della Cdp strattonata su Telecom, il premier ha appena nominato il commissario all’Expo 2015 Giuseppe Sala. Candidato sindaco di Milano, per il Pd. O forse no: vedremo. Chissà che risposta otterebbe la Consob se potesse chiedere una precisazione obbligatoria. Sempre al mercato).