L’abolizione della Tasi sulla prima casa compensata dall’aumento della dotazione del Fondo di solidarietà comunale “limita la possibilità di manovra dei Comuni”. Lo afferma un documento del Servizio bilancio di Camera e Senato relativo alla legge di stabilità. I 3,75 miliardi di euro di gettito in meno derivanti da Tasi sulla prima casa, Imu agricola e per gli imbullonati andranno coperti dal governo per evitare che i conti dei Comuni vadano in sofferenza. Di fatto però secondo i tecnici del Servizio bilancio ciò “può determinare un irrigidimento dei bilanci comunali in quanto limita la possibilità di manovra dei Comuni a valere sulle proprie entrate a scapito della voce maggiormente rigida e fissa del fondo in esame”. A finire nel mirino sono anche i tagli alla sanità regionale e il canone Rai nella bolletta elettrica. Ne abbiamo parlato con Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica all’Università degli Studi di Milano-Bicocca.
Professore, ritiene che le critiche all’abolizione della tassa sulla prima casa siano condivisibili?
La Tasi era uno strumento che i Comuni potevano usare con qualche margine di flessibilità per reperire risorse. Al suo posto ora ci sarà lo Stato che fornirà agli enti locali risorse della stessa entità. Non è però la stessa cosa, perché un Comune poteva essere incentivato ad attuare una politica di riduzione delle aliquote. Non è neanche chiaro sulla base di quale anno di gettito avverrà la copertura delle risorse.
Quali saranno le conseguenze per i Comuni?
Se io fossi un sindaco non mi fiderei molto di questa promessa da parte dello Stato. Ma soprattutto verrà meno quel margine decisionale per fare politiche autonome: può darsi per esempio che qualche Comune avesse in mente di rimodulare la tassazione locale. Queste osservazioni critiche sono quindi pienamente ragionevoli.
Come valuta invece i rilievi del Servizio bilancio relativi al taglio della sanità regionale?
A maggior ragione li condivido, perché di fatto queste misure sulla sanità sono un taglio di risorse. Dopo di che chi deve garantire le prestazioni sanitarie a livello regionale è lasciato solo. Non si dice come fare per compensare questi tagli, e quindi la risposta più immediata è l’aumento dei ticket, ma anche per questa misura eventuale i margini non sono molto alti, oppure il taglio delle prestazioni che erano garantite dal servizio sanitario e che non lo saranno più.
In che modo si possono tagliare gli sprechi?
Ho sempre sostenuto che sulla sanità è difficile recuperare risorse. In primo luogo, la spesa sanitaria pubblica in Italia è sotto alla media europea. Inoltre, ci sono delle differenze regionali per quanto riguarda la qualità del servizio sanitario, per cui ci sono regioni nelle quali il livello delle prestazioni è piuttosto elevato e altre in cui lo è meno. Ma non si possono togliere risorse alle Regioni dove la qualità della sanità è minore, anzi bisogna incentivarle a usare al meglio le risorse che hanno.
Possibile che non si riescano a ridurre queste disparità?
Non c’è mai stato nessun provvedimento che sia riuscito a modificare queste disparità nei livelli di efficienza delle Regioni. Con il passaggio negli anni ’70 dall’Inam (Istituto nazionale per l’assicurazione contro le malattie) alla sanità regionale e alle Asl questi divari sono anzi cresciuti. Personalmente ritengo che la sanità vada sottratta alle Regioni e affidata a un sistema di gestione unificato.
Anche sul canone Rai in bolletta il Servizio bilancio si mostra critico. Chi ha ragione?
Mi domando per quale ragione le imprese elettriche dovrebbero fungere da esattori di un canone che non c’entra nulla con l’elettricità. Il semplice fatto che l’elettricità arriva nelle case dove stanno anche le tv, non mi sembra una ragione adeguata. Non si capisce inoltre perché questo compito sia affidato alle imprese elettriche, e non a quelle telefoniche o ai Comuni nel momento in cui forniscono servizi di acqua potabile.
Come avverranno gli accertamenti?
Se il canone Rai rimane una tassa che colpisce il possesso del televisore, mi sembra difficile che il produttore di energia elettrica possa accertare la presenza di un dispositivo nell’abitazione. Se un cittadino decidesse di non pagare il canone perché non ha il televisore, il fornitore di energia elettrica potrà fare ben poco. Mi sembra che questa soluzione non sia applicabile, e mi sembra anche una forzatura il fatto che il canone sia una tassa di possesso sul televisore.
(Pietro Vernizzi)