“Sostituite alla parola Stato la parola comunità e avrete sempre chiara la frontiera della Fondazioni”. Giuseppe Guzzetti ha rilanciato con forza il ruolo degli enti associati all’Acri in una giornata di studi organizzata dal Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Verona sui 25 anni della riforma Amato-Carli. Un evento promosso dall’amministrativista Giovanni Sala, vicepresidente vicario della Fondazione Cariverona, che oltre al Presidente dell’Acri ha richiamato fra gli altri il presidente della Fondazione Mps Marcello Clarich e quello dell’Ente Cassa Firenze Giuseppe Tombari, nonché Roberto Pinza – oggi presidente della Fondazione Cassa Forlì e a suo tempo co-firmatario con Carlo Azeglio Ciampi della legge-quadro del 1998.
Al centro delle due sessioni – quella pomeridiana moderata da Eugenio Caponi, consigliere della Cariverona – un primo bilancio del Protocollo d’Intesa siglato in primavera fra l’Acri e il Ministero dell’Economia: un punto d’arrivo, un punto di partenza. Un buon punto d’equilibrio – ha sottolineato Clarich – tra la conferma evolutiva dell’autonomia statutaria delle Fondazioni (dichiarata dalla Corte Costituzionale nel 2003) e un’alta vigilanza affidata dal 1990 al Tesoro. Controlli che evidentemente non sono ancora superflui se la crisi finanziaria ha messo in discussione solidità e governance di alcune Fondazioni. La scelta del governo di dare fiducia al “sistema Fondazioni” nella sua volontà di autoriforma è stata comunque di per sé un fatto politico-istituzionale: così come il riconoscimento espresso – nell’atto negoziale – dell’Acri come “interlocutore”, come filtro attivo fra Tesoro e singoli enti.
“L’Atto negoziale – ha sintetizzato Guzzetti al termine della mattinata – consente di riflettere su un quarto di secolo di vita della Fondazioni. Da un lato l’impulso della riforma Amato-Carlo a svecchiare la ‘foresta pietrificata’ del credito in Italia è stato raccolto e pienamente realizzato: i due maggiori gruppi bancari del Paese, UniCredit e Intesa Sanpaolo, sono il risultato di decisioni strategiche puntuali da parte della grandi fondazioni italiane, attente e attive sul fronte del consolidamento e della protezione del sistema”. Sull’altro versante, Guzzetti ha rivendicato lo sviluppo reale di campi d’intervento nella sussidiarietà orizzontale. “Vi sono stati anni in cui determinati ambiti della vita nazionale – ha rammentato – hanno ricevuto dal sistema-Acri più fondi che dallo Stato: ad esempio quello dell’arte, o della costruzione dei distretti culturali”. E ora?
“Il Protocollo d’Intesa ha il merito di riconoscere alle Fondazioni ciò che già sono e ciò che possono essere in modo pieno: enti filantropici, ormai sganciati dal ruolo di azionisti strategici delle grandi banche. La frontiera delle Fondazioni è il welfare di comunità e la sfida è quella di sperimentare nuove forme di attivazione sociale. Non è possibile che la solidarietà e la generosità operante di cui gli italiani sono puntualmente capaci verso le vittime di una calamità internazionale nazionale, non riesca a essere concreta verso il vicino di casa: verso l’infanzia negata, verso gli anziani più longevi ma più deboli, oggi anche verso la disoccupazione giovanile che sarà un’emergenza per molti anni”.