«La minaccia terroristica modifica le abitudini e quindi la tipologia di consumi, ma non li riduce automaticamente. È presto per dire che il Pil a fine anno crescerà meno del previsto». A spiegarlo è Leonardo Becchetti, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma. Il governo prevede che nel corso del 2015 il Pil cresca dello 0,9%. Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia, ha scritto su Twitter: “Al momento non abbiamo elementi concreti che ci inducano a rivedere quella cifra”. E in un’intervista al Corriere della Sera ha aggiunto: “Gli italiani hanno la corretta percezione che stiamo uscendo dalla crisi. E questo conta molto, sia per la fiducia sia per l’economia”. Nel frattempo i 2 miliardi di euro su cultura e sicurezza promessi da Renzi restano sospesi alla deroga sul patto di stabilità che sarà approvata o respinta dalla Commissione Ue in primavera.



Per Padoan il +0,9% del Pil non è messo a rischio dal terrorismo. È d’accordo con lui?

In realtà il terrorismo produce un “effetto composizione”, e non un “effetto riduzione” dei volumi di consumi. Alcune cose si fanno meno, magari uno non va in ristoranti affollati, ma non è detto che in generale ci sia una riduzione della domanda interna. Potrebbero esserci degli effetti sul turismo in entrata e sugli scambi commerciali con alcuni Paesi, ma sinceramente è difficile in questo momento valutare quanto accadrà. Anche perché dipenderà dal fatto che gli attentati di Parigi rimangano episodi isolati o che abbiano invece un seguito e una ripercussione più vasta.



Se Bruxelles dicesse di no alla deroga al patto di stabilità c’è il rischio che il governo debba aumentare le tasse?

L’Italia ha un potere contrattuale sufficiente per imporre questa deroga all’Ue. Ho fiducia nel fatto che questa asimmetria di trattamento tra l’Italia e gli altri Paesi, come per esempio la Francia, non abbia nessuna ragion d’essere. Il governo fa quindi bene a insistere.

Che cosa fa sì che l’Italia abbia la forza per imporre la deroga?

In parte è lo stile con cui si pone il presidente del consiglio Renzi, che ha giustamente un atteggiamento dialettico nei confronti delle istituzioni europee, come deve essere, e non invece una posizione di sottomissione. Dalla sua può portare sul piatto il fatto che il Paese si sia impegnato a mettere in atto le riforme in una serie di settori.



Le misure contenute nel pacchetto da 2 miliardi sono efficaci per rilanciare l’economia?

Sono interventi di spesa che hanno comunque un impatto sulla domanda interna. Oggi siamo di fronte a consumi che non ripartono e a un fortissimo risparmio cautelativo da parte degli italiani. Viviamo in un ambiente economico oggettivamente molto insicuro, dove il lavoratore rischia molto.

Di che cosa c’è bisogno per risolvere questo problema?

Ciò di cui c’è assolutamente bisogno sono reti di protezione universale sia sul fronte dei sussidi alla disoccupazione che su quello del reddito minimo. Queste misure devono essere però inclusive e finalizzate alla ricerca dell’occupazione da parte delle persone. Il reddito minimo deve venire meno nel momento in cui si può dimostrare che la persona non sta cercando lavoro attivamente. Lo ritengo un passo fondamentale che dobbiamo fare, se vogliamo ridare slancio all’economia.

 

Il reddito minimo sarebbe attuabile senza alzare le tasse?

Il reddito minimo costerebbe alcuni miliardi di euro, e quindi occorre sicuramente ricomporre le misure di bilancio. Non è detto che sia necessario aumentare le tasse, potrebbe esserci semplicemente una ricomposizione nelle voci di bilancio. Ritengo in ogni caso che si tratti di una misura importante, che potrebbe poi avere degli effetti significativi sui consumi.

 

Lei dove taglierebbe?

Partirei dalle fonti fossili. Lo Stato eroga sussidi alle fonti fossili tra i 5 e i 10 miliardi, che sono un assurdo anche dal punto di vista ambientale. È una cifra che va ridotta progressivamente. Ritengo inoltre che la Tasi vada mantenuta per i segmenti di reddito più alto.

 

(Pietro Vernizzi)