È ancora vivo il dibattito sulla recente operazione di salvataggio delle quattro banche italiane: Banca Marche, Carife, Carichieti e Banca Etruria. Il costo dell’operazione è pari a 3,6 miliardi ed è tutto a carico del Fondo di risoluzione, sostenuto esclusivamente dal sistema bancario italiano senza alcun utilizzo di fondi pubblici. Il costo sociale dell’operazione per i territori interessati è enorme in quanto sono stati azzerati i valori delle azioni posseduti da 130 mila azionisti e delle obbligazioni subordinate in mano a 20 mila sottoscrittori: azioni e titoli che sono state acquistate massicciamente anche da piccoli risparmiatori. Solo per Banca delle Marche, l’istituto più importante del gruppo, si parla di una distruzione di valore per circa 1,5 miliardi sommando azioni e obbligazioni subordinate. In tale somma è ricompresa la perdita stimata dalla stampa in circa 400 milioni da parte delle fondazioni bancarie marchigiane che avevano il controllo della Banca.
Tale risoluzione è stata imposta dalla Commissione europea che ha voluto anticipare parzialmente gli effetti della nuova direttiva Brrd che a partire dal 1 gennaio scarica su azionisti, obbligazionisti subordinati e depositanti sopra i 100 mila euro le operazioni di salvataggio delle banche. È certamente criticabile la rigidità della Commissione europea nei confronti del governo e delle banche italiane in quanto recentemente sono state avvallati salvataggi di banche tedesche con intervento pubblico prima dell’entrata in vigore della suddetta nuova direttiva, è altresì comprensibile lo spirito di detta direttiva che impone un principio di responsabilità nella gestione delle banche senza ricorrere alla Stato. Per la crisi finanziaria scoppiata nel 2007 gli Stati infatti sono stati chiamati pesantemente a intervenire per recuperare disastri provocati da un uso della finanza distorto e senza scrupoli che ha prodotto danni all’economia mondiale e quindi alle persone, crisi da cui dopo vari anni ancora non riusciamo definitivamente a uscire.
In attesa di sapere se verranno a posteriori emanate delle norme per attenuare la perdita dei piccoli risparmiatori, vittime inconsapevoli, è fondamentale prendere atto della situazione e affrontare in maniera adeguata il nuovo scenario. Innanzitutto è fondamentale che il ruolo della Vigilanza sia all’altezza del compito per prevenire gestioni distorte. Alcune di queste banche erano stranamente uscite negli ultimi anni prima della crisi con utili appariscenti rispetto al resto del sistema bancario, al contrario impegnato fortemente a rettificare i propri bilanci con fondi di copertura di sofferenze che certamente sarebbero state contabilizzate nel prossimo futuro. Certamente nel nuovo scenario dovrà cambiare la modalità di approccio alla banca da parte del singolo risparmiatore che ora per i depositi superiori a 100 mila euro verrà automaticamente coinvolto nei processi di ricapitalizzazione a copertura delle perdite. A tutti gli effetti il singolo depositante si assume il rischio di impresa che pertanto andrà attentamente valutato.
Il cambiamento più rilevante che è richiesto riguarda gli assetti proprietari delle banche in quanto le crisi obbligheranno a un coinvolgimento oltreché dei soci anche dei clienti della stessa. Oltre che comportamenti illeciti, che nel caso specifico sono in corso di accertamento, non potrà più essere ammessa una visione di breve termine nella gestione della banca, in quanto il valore reale che uno è chiamato a gestire riguarda tutta la base sociale fatta da dipendenti e clienti, nonché dal territorio di riferimento.
Non sono compatibili deleghe in bianco a manager che vivono nell’ottica del breve periodo senza alcuna responsabilità sociale nei confronti del territorio che si serve. Purtroppo abbiamo assistito in questi anni a questi fenomeni culminati nella crisi di queste 4 banche, ma che potrebbero riguardarne in futuro anche altre. Tra gli assetti proprietari delle 4 banche salvate spicca in questo senso la crisi del ruolo delle fondazioni bancarie che controllavano la maggioranza delle banche e che in qualche modo avevano l’onere di nominare manager all’altezza del compito sociale che una fondazione deve portare, nonché di controllarne sistematicamente l’operato. Aldilà della buona volontà che certamente sarà stata presente nei singoli amministratori è necessario un percorso di riflessione sulle modalità di gestione di tali enti, sul loro rapporto vivo con il territorio di appartenenza, sulla reale condivisione del compito ideale che la storia delle fondazioni consegna, sulle capacità umane e tecniche degli uomini nominati negli organi di governo, nonché sulla trasparenza di detti enti che garantisce quel dialogo permanente con il territorio di appartenenza e non con lobby di riferimento.
Non si tratta di mettere in discussione il ruolo delle fondazioni bancarie che al contrario, se gestite con le modalità sopra dette, costituiscono una spinta propulsiva ai territori assolutamente irrinunciabile. Per rimanere nella regione Marche, accanto alla cattiva gestione di alcune Fondazioni è osservabile l’esperienza di altre che hanno dato un apporto positivo ai territori di competenza. La Fondazione Bancaria della CR Ascoli ha venduto la quota di proprietà della banca nei periodi migliori dotandosi di un patrimonio ragguardevole e svolgendo un’azione di sostegno al territorio fondamentale, divenendo un esempio di efficacia e presenza nella società civile, punto di riferimento per tutto il territorio. La Fondazione Carifermo ha perseguito invece una politica diversa puntando a detenere la quota di proprietà con il fine di preservare la presenza di un istituto bancario locale che oggi ha raggiunto la sua dimensione svolgendo una positiva azione.
Per i territori delle Fondazioni Bancarie che controllavano Banca Marche si va ad aprire un nuovo scenario in quanto la perdita patrimoniale è notevole. Il patrimonio di queste fondazioni era investito tra il 70% e il 90% su Banca Marche e pertanto in alcuni casi cessa il ruolo che tali storiche fondazioni potranno svolgere sul territorio e comunque fortemente compromesso per le altre. Per tali territori si presenta la possibilità di andare a una riforma recuperando l’ idealità per cui sono nate attraverso un’opera di rivitalizzazione dei vecchi enti, oppure attraverso la creazione di nuovi secondo le forme che i contesti e i bisogni attuali suggeriscono.