Da anni, il matrimonio tra l’Unione europea e l’euro è pari a quello di una coppia, coniugata da lungo tempo, in cui marito e moglie si danno per scontati. È il momento più delicato, quello in cui le consuetudini prevalgono sul rapporto affettivo di lungo periodo ed è sufficiente un nonnulla per fare saltare il legame tra i due. Avvenimenti di questi ultimi giorni ci dovrebbero ricordare che il futuro della moneta unica non è affatto scontato, come per la coppia con oltre un quarto di secolo di matrimonio dopo un decennio di fidanzamento.



Da un lato, quale che sarà, l’esito delle elezioni regionali in Francia, una volta contati gli ultimi voti e proclamati i dati ufficiali, è chiaro che un terzo dei cittadini del Paese che nel 1989 propose l’unione monetaria e più insistette per la sua realizzazione, ora ne farebbe volentieri a meno. Da un altro, le elezioni in Polonia hanno dato una netta vittoria ai nazionalisti. In numerosi altri Stati dell’unione monetaria, e dell’Ue acquistano forza movimenti e partiti politici anti euro, più che anti sistema. Lo avevano previsto in molti sia mentre si negoziava il Trattato di Maastricht, sia negli della transizione verso la moneta unica e in quelli della crisi economica e dell’esplodere del debito sovrano. Contrariamente alla vulgata, si è trattato di voci non populiste e protezioniste, ma di liberisti come Martin Feldstein, Alberto Alesina, Pascal Salin e numerosi altri, tra cui il gruppo di economisti (e giuristi) tedeschi che si sono rivolti alla Corte Costituzionale di Karlsruhe per giudicare la conformità del Fiscal compact e del terzo piano di salvataggio della Grecia, tutti essenzialmente di “scuola austriaca” non “prussiana”.



Che l’euro sia in pericolo è venuto a ricordarlo, all’Università di Roma La Sapienza, uno dei “padri” dell’unione monetaria, Paul de Grauwe, ora alla London School of Economics, nelle due lezioni che, con il supporto della Banca d’Italia, vengono organizzate in memoria dell’economista Federico Caffè. Occorre ricordare che i libri di De Grauwe sull’unione monetarie sono testi adottati da università di numerosi Paesi (anche in Italia) e che l’economista ha sempre espresso critiche nei confronti di alcuni aspetti dei Trattati, specialmente a certi parametri quantitativi, ma è essenzialmente un liberale europeista.



Le due lezioni non sono una curiosità accademica. De Grauwe ha ripercorso accuratamente la strada dell’euro, dalla sua nascita alla crisi, non ha risparmiato riserve nei confronti di Stati, e Governi, che non hanno effettuato le riforme essenziali ad aumentare la competitività dei loro sistemi economici, e alla Banca centrale europea, le cui misure sono state, a suo (documentato) avviso, tardive e insufficienti. De Grauwe ha distribuito un testo (un vero e proprio saggio scritto per l’occasione) che si può leggere sul sito del Dipartimento di Economia e Diritto dell’Università La Sapienza. Sarebbe pleonastico riassumerlo.

Interessanti le conclusioni. E ancor più interessante che sono state modificate a braccio al termine delle due conferenze, e del confronto specialmente con gli studenti. Il testo è eloquente: «L’unione monetaria può sopravvivere unicamente se gli Stati che ne fanno parte decidono di andare verso l’unione dei bilanci e l’unione politica. Oggi non c’è nessuna volontà di seguire questa direzione. Ciò renderà l’unione monetaria sempre più fragile e forzerà il percorso verso una “unione egemonica” in cui le redini del potere saranno nelle mani degli Stati creditori, innescando conto-reazioni negli Stati debitori. Tale “unione egemonica” verrà da molti respinta. Da fragile l’unione monetaria diventerà non sostenibile». Una visione, quindi, apocalittica in cui i Governi saggi si dovrebbero preparare alla dissoluzione più indolore (per tutti) dell’unione monetaria.

Come tale visione è stata modificata nelle conclusioni a braccio? De Grauwe ha esposto un’alternativa, (apparentemente) meno catastrofica. «Forse» basta fare «piccoli passi» verso l’unione politica e di bilancio quali: a) mutualizzazione di parte del debito sovrano tramite eurobond (o simili); b) ridurre l’azzardo morale insito in numerose politiche economiche nazionali; c) definire stabilizzatori macroeconomici automatici (sostegno dei senza lavoro, ecc.) a livello europeo invece che esclusivamente nazionale; d) completare l’unione bancaria (ora monca della gamba relativa all’assicurazione dei depositi); e) definire un meccanismo “assicurativo” europeo per il ciclo (ossia obiettivi comuni di crescita consentendo politiche espansive a chi cresce meno e imponendo politiche restrittive a chi cresce di più).

Sono piccoli passi realistici? Lo chiedo ai lettori.