«Nel caso delle quattro banche vanno evitati processi che mettano tutti sul banco degli imputati, dal parlamento al governo, dagli istituti di credito alla vigilanza. Già all’inizio degli anni 2000 dopo i casi Cirio e Parmalat si cercò di riformare il sistema, ma tutto è rimasto come prima». Lo evidenzia Guido Gentili, editorialista ed ex direttore de Il Sole-24 Ore. Sul quotidiano di martedì ha firmato un editoriale dal titolo: “Inchiesta parlamentare: maneggiare con cura”. Nel momento in cui la procura di Arezzo ha messo sotto accusa i vertici della Banca Etruria, in molti vorrebbero punire chiunque abbia avuto un ruolo anche indiretto in questa vicenda. Dopo il caso Cirio nel 2002 e il caso Parmalat nel 2003, il Parlamento approvò una nuova legge sul risparmio. Sull’onda lunga di questi scandali e di quello di Antonveneta, il governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, si dovette dimettere il 19 dicembre 2005.



Gentili, quali riflessioni le suscita il fatto che ci ritroviamo al punto di partenza?

Innanzitutto ritengo che non sia indifferente se a occuparsi della vicenda sarà una commissione d’inchiesta o d’indagine. Se è d’indagine infatti non serve praticamente a nulla. D’altra parte il Pd ha comunicato che vuole una commissione d’inchiesta al Senato, dove è in corso da un anno una commissione d’indagine sul sistema bancario italiano e sulle regole europee. Quest’ultima ha già elaborato un documento finale che sarà approvato nei prossimi giorni. Il salto di qualità ci sarebbe quindi se si aprisse una commissione d’inchiesta.



Sarebbe la prima volta che si istituisce una commissione di questo tipo?

Sul tema delle banche ne abbiamo già conosciute due: una alla fine degli anni ’50 e quella sul caso Sindona dopo l’omicidio di Giorgio Ambrosoli nel 1979. All’epoca del caso Calvi ci fu un’iniziativa giudiziaria contro la Banca d’Italia e in particolare contro il governatore Paolo Baffi e il capo della vigilanza, Marco Sarcinelli. Fu un periodo drammatico, e la domanda da porci è se le misure da prendere oggi siano le stesse di allora.

Quale può essere la soluzione?

Non si può mettere in piedi solo un generico processo nel quale tutti sono colpevoli, dalla politica al governo, dalle banche alle autorità di controllo. In questo modo infatti si creerebbe un grande polverone che non arriva a nulla. Abbiamo avuto degli esempi negli anni scorsi: la vicenda dei bond argentini nei primi anni 2000, il crac Parmalat e la vicenda dei Cirio bond subito dopo. È stata messa mano alla regolazione ed è stata fatta una legge sul risparmio.



Con quali conseguenze?

Nonostante tutti gli accorgimenti presi, dal punto di vista della trasparenza del mercato e della possibilità del risparmiatore di scegliere in modo oculato ci ritroviamo più o meno al punto di partenza. Riemergono gli stessi identici problemi di allora, cioè il mancato coordinamento di Banca d’Italia e Consob, le due autorità che si impegnano su un terreno comune anche se con compiti diversi. Insomma, le cose non hanno funzionato, anzi abbiamo avuto altri problemi come la vicenda del Monte dei Paschi.

 

Quale dibattito ne è scaturito?

Ne è scaturito un dibattito intenso su quanto è stato compiuto dalle autorità di vigilanza. Nel momento in cui c’è un cambiamento epocale nella gestione delle crisi bancarie, con il nuovo principio del bail-in che entra in funzione dal 1 gennaio, ci ritroviamo a confrontarci con lo stesso problema. La vicenda delle quattro banche lo mette sotto gli occhi di tutti. Si tratta di banche medio-piccole, che non hanno una valenza sistemica in quanto tali. Anche se un dato sistemico c’è.

 

Quale?

C’è nel senso di un malinterpretato localismo che per anni abbiamo dipinto come uno degli argini che hanno consentito al sistema bancario italiano di reggere meglio alla crisi. A livello locale emergono però favoritismi, clientelismi e conflitti d’interesse. Su questi sta indagando la magistratura, vedremo poi a quali risultati porterà. Nel complesso è però importante evitare processi e polveroni generali che poi ci fanno ripartire dal punto in cui eravamo rimasti. Questo non ce lo possiamo permettere, perché abbiamo a che fare con un sistema di gestione della crisi bancaria che dall’1 gennaio cambia radicalmente.

 

(Pietro Vernizzi)

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