A ottobre il debito pubblico è aumentato di 19,8 miliardi, salendo a 2.211,8 miliardi e avvicinandosi al record di 2.218,2 miliardi registrato a maggio. È quanto emerge dal supplemento “Finanza pubblica, fabbisogno e debito” diffuso dalla Banca d’Italia. Il debito pubblico è cresciuto per l’aumento del fabbisogno (2,1 miliardi) e delle disponibilità liquide del Tesoro (17,7 miliardi). Il debito delle amministrazioni centrali cresce di 20,6 miliardi, quello delle amministrazioni locali diminuisce invece di 0,8 miliardi. Ne abbiamo parlato con il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze.



Professore, è preoccupato per l’aumento del debito pubblico italiano?

È un dato che ci deve preoccupare molto, perché è una conseguenza delle politiche di disavanzo del nostro governo. Un disavanzo superiore al percorso virtuoso indicato dalla Commissione Ue, grazie al quale sarebbe stato possibile ridurre il deficit dello 0,5-0,6%. In questo modo sarebbe stato possibile far scendere il rapporto debito/Pil che dipende dalla dinamica del Pil monetario. Il Pil quest’anno aumenterà dell’1%, e se il deficit fosse stato dell’1,7% come prescritto dall’Ue il debito sarebbe rimasto invariato. Il governo ha invece ha aumentato il deficit al 2,3-2,4%.



Ritiene che le responsabilità siano del nostro governo?

Sì, è un errore grave di Renzi e Padoan, che nello stesso tempo hanno compiuto un’operazione sulle banche che si potevano risparmiare. In questo modo hanno lanciato un segnale preoccupante sulla tenuta del nostro sistema bancario, in relazione a eventuali problemi di debito pubblico. Nello stesso tempo gli interventi a favore delle banche non aiutano chi ha prestiti subordinati e chi ha comprato azioni dalla sua stessa banca. Sommiamo così una politica sbagliata di finanza pubblica con una politica altrettanto sbagliata per quanto riguarda la fiducia nel credito e nel sistema bancario.



Com’è la situazione del nostro sistema bancario?

Il governo non è ancora riuscito a risolvere il problema centrale, cioè liberare le banche da almeno il 50% di questa massa di crediti deteriorati. Siamo quindi in una situazione che, nell’imminenza del rialzo dei tassi della Fed, desta preoccupazione. Per fortuna la Bce mantiene la liquidità prorogando il Quantitative easing, senza compiere però delle nuove operazioni.

Nel complesso qual è lo scenario che si aspetta?

L’insieme dei comportamenti sbagliati da parte del nostro governo ci fa dire che abbiamo perso la nostra partita. Ciò vale sia per quanto riguarda le banche, sia per quanto riguarda il rapporto con Ue e Germania. La richiesta di deroghe su debito e deficit ci rende del resto succubi nei confronti di Bruxelles e Berlino. Nello stesso tempo la politica del governo non serve a rianimare l’economia. Come sottolineato dalle statistiche dell’Istat, l’Italia ha pochi investimenti e molte difficoltà con il commercio estero, che in parte derivano dal fatto che il costo del lavoro non è stato ridotto.

L’euro debole ci aiuta?

No. Anziché utilizzarlo per rilanciare gli investimenti e le esportazioni, Renzi ha optato per una politica delle mance. L’obiettivo era rianimare la domanda interna, ma così non è stato a causa di tutti gli altri segnali negativi che ho citato prima.

 

L’inflazione in calo significa che la politica della Bce non funziona?

Il prezzo del petrolio si è ridotto, in parte in modo artificioso, ma in parte in modo strutturale. La tecnologia facilita molto il reperimento di nuove risorse energetiche, dal petrolio al gas e allo shale. Un minor costo strutturale del petrolio implica una tendenza strutturale alla riduzione dei prezzi. La stessa tendenza riguarda anche le altre materie prime, che costano meno anche per effetto del nuovo ciclo tecnologico. Senza l’intervento della Bce, questo insieme di fenomeni darebbe luogo addirittura a una vera e propria deflazione.

 

(Pietro Vernizzi)