L’altra sera a “Porta a Porta” Matteo Renzi ha detto di aver apprezzato le repliche in tempo reale dell’Eni, via twitter, all’ultima puntata di “Report”, che rilanciava i sospetti di tangenti pagate dal gruppo in paesi africani. Qualche minuto dopo sarebbe stato quanto meno divertente leggere qualche tweet analogo del Credito cooperativo, mentre il Premier sbandierava nuovamente l’urgenza di una riforma per le Bcc, “piccoli banchieri” accostati ostentamente a quelli commissariati, “risolti” e ora indagati di Banca Etruria. Non che la Federcasse non abbia subito reagito: due volte in tre giorni. Ma lo ha fatto con i modi che ancora – in un paese del G8 – sono propri di un importante corpo intermedio nei confronti del premier in carica: anche quando questi “narra” la realtà a modo suo sulla tv pubblica controllata dal governo e pagata dai contribuenti, approfittando magari per qualche raid politico in campo bancario.
Nelle sue note, Federcasse ha comunque affermato di apprezzare che il capo del governo abbia così a cuore la riforma del Credito cooperativo. Il progetto completo, peraltro, giace da quattro mesi con tutti i placet di Bankitalia sui tavoli del ministero dell’Economia: è il governo che non la rende operativa – non le Bcc – nonostante ripetuti impegni di vario esponenti dell’esecutivo. Il presidente di Federcasse, Alessandro Azzi ha colto invece l’occasione per respingere nuovamente l’accusa – neppure implicita nelle parole di Renzi – che il Credito cooperativo sia parente stretto delle quattro banche traumaticamente risolte: che siano le Bcc le vere “malate gravi” del sistema bancario nazionale nella tempesta.
Resta il fatto che Renzi ha speso in dieci giorni tre sedi mediatiche di primo livello (un’intervista al Corriere della Sera, l’intervento conclusivo alla Leopolda, la “terza camera” di Bruno Vespa) per battere su un solo chiodo: la “grande riforma del credito” in Italia parte dalla palingenesi del Credito cooperativo. Le motivazioni sono abbastanza evidenti ed elementari: di fronte a una crisi di credibilità politica mai sperimentata prima (neppure quando sono stati indagati i vertici Eni appena nominati da Renzi), il Premier ha il bisogno pressante di “narrare” un governo in azione, padrone della situazione, pronto a gestire l’emergenza con misure strutturali. E la politica “politicata” può prevedere che una riforma altrui dimenticata nel cassetto – magari anche volutamente – si trasformi all’improvviso in una scelta importante e provvida del governo: all’opposto di come un dossier-grana come le quattro risoluzioni bancarie sia esploso fra le gambe di un governo come minimo “superficiale”, secondo l’appellativo usato dai commentatori più benevoli.
Però la distanza fra la venialità e la mortalità del peccato mediatico commesso – tre volte – da Renzi è davvero breve. Soprattutto perché alcune delle Bcc che hanno giocato a fare i “piccoli banchieri” erano in Toscana: erano vicine di casa del Montepaschi e di Banca Etruria.
Il caso più noto è quello del Credito cooperativo fiorentino, che faceva capo all’ex braccio destro di Silvio Belusconi Denis Verdini: oggi capogruppo di una frangia dissidente di Forza Italia e fiancheggiatrice del governo Renzi. Il Ccf, commissariato e liquidato, è stato assorbito dalla Chianti Banca, altro satellite del giglio magico bancario locale dell’ex sindaco di Firenze. La presiede Lorenzo Bini Smaghi, membro italiano dell’esecutivo Bce prima dell’arrivo di Mario Draghi e attuale presidente del consiglio di sorveglianza del colosso francese Société Générale. “Lbs” si è segnalato per numerose prese di posizione contro l’attuale configurazione del credito cooperativo in Italia, ma anche contro la nascita di un gruppo unico: direzione decisa invece senza alternative nell’autoriforma Federcasse, apparentemente sposata anche da Renzi quando insiste sulla necessità di far nascere in Italia in gruppo come il francese Credit Agricole. Anche sulla piattaforma “gruppo unico” ad Azzi è stato chiesto tre settimane fa di restare al vertice Federcasse con un mandato pieno: ed è praticamente impossibile che l’avvocato bresciano ceda a iniziative che “balcanizzino” il Credito cooperativo, magari con l’appoggio di gruppi esteri.
Proprio in Toscana – riferiscono rumor di settore – si anniderebbero comunque residue resistenze alla riforma studiata da Federcasse e approvata da via Nazionale: verrebbero da alcune Bcc – praticamente le sole fra le 376 italiane – non associate a Federcasse e invece prevedibilmente obbligate a entrare nel nuovo gruppo unico nazionale. In una Bcc toscana commissariata, quella di Cascina, sono infine affondate le radici del recente “caso Palenzona” che sta tuttora tenendo sotto pressione UniCredit: lì il “piccolo banchiere” era il direttore generale Vincenzo Littara, i cui rapporti con il costruttore siciliano Andrea Bulgarella sono finiti sotto i fari della vigilanza e della magistratura.