Il rialzo dei tassi Usa deciso dalla Federal Reserve rappresenta un pur atteso regalo di Natale per i listini azionari di tutto il pianeta. Lo conferma il rialzo delle Borse in Usa come in Europa e Asia, compresi i listini emergenti che pure corrono non pochi rischi con l’aumento di valore del dollaro, la valuta in cui sono fortemente indebitati. Ma la Banca centrale americana, con questa mossa, sottolinea che il peggio per l’economia Usa è alle spalle e all’orizzonte si profila una fase, pur combattuta e incerta, di avanzata lungo un sentiero virtuoso verso la normalità: nove anni dopo lo scoppio della grande crisi si profila una convalescenza che, seppur rischiosa, offre speranze.
La mossa per giunta “assolve”, a distanza di due settimane, la prudenza della Bce. Il taglio dei tassi più profondo a Francoforte avrebbe allargato troppo la forbice tra il dollaro e l’euro con effetti inquietanti sulla stabilità dell’economia globale. I problemi per l’Eurozona, del resto, non si annidano nella politica monetaria. O nella fragile congiuntura geopolitica, che spaventa di meno dopo l’esito del voto francese e la possibile tenuta dei partiti più filoeuropei alle elezioni spagnole di domenica.
Più insidiosa è la crisi italiana che s’intravede dietro la frattura sulle banche tra Roma e Bruxelles, punta dell’iceberg di un conflitto che è necessario disinnescare al più presto. Un conflitto cresciuto nel totale disinteresse della politica, che ha ignorato, impegnata nelle schermaglie pre-elettorali, i segnali in arrivo da Bruxelles e da Berlino. I silenzi della Commissione europea sulla band bank così come la chiusura a possibili soluzioni alternative alla risoluzione delle quattro banche commissariate, sfociata nel default delle obbligazioni subordinate, è l’effetto dell’ostilità tedesca verso la Legge di stabilità italiana e altre iniziative estemporanee come il buono cultura per i 18enni.
L’Italia di Matteo Renzi, è stato un giudizio dei falchi tedeschi, assomiglia troppo a quella di Silvio Berlusconi: gli anni “buoni”, segnati dal calo del petrolio e da tassi vicini allo zero, non vengono utilizzati per abbattere debito e deficit, ma per alimentare una crescita drogata dei consumi. Che accadrà quando i tassi cominceranno ad aumentare per davvero? Tra un anno il costo del denaro americano sarà almeno di un punto superiore ai valori attuali. Fino a che punto Mario Draghi potrà restar fermo salvo rischiare una fuga di capitali? E come reagirà l’export di fronte alla svalutazione, sempre più aggressiva dello yuan cinese?
Dietro la bonaccia dei mercati, insomma, soffia aria di burrasca. E i partner europei, lungi dall’attrezzarsi per un fronte comune, si muovono in ordine sparso, come capita per l’immigrazione o per la minaccia dell’Isis. L’atteggiamento di chiusura tedesco sulla bad bank italiana, provvedimento necessario per far ripartire davvero il credito di casa nostra, rivela che l’Europa, nel timore di dover contribuire all’eventuale risanamento delle banche nostrane, ha già chiuso in anticipo i cordoni della borsa. Senza alcuna attenzione per l’ultimo vero tesoro italiano: il risparmio delle famiglie, a rischio se non ci sarà un’inversione virtuosa della finanza pubblica.
C’è un fil rouge che lega la tenuta del risparmio alla finanza pubblica. Finora il punto fermo è stata la garanzia sui titoli di Stato, prestata dal Tesoro, e quella sulla solidità delle banche, sostenute a ogni costo dal 1922, anno del crac dell’Ansaldo. Ora le regole del gioco sono cambiate. Come previsto da accordi firmati senza troppe precauzioni. “D’ora in poi, saranno gli azionisti delle banche e i loro creditori che sopporteranno i costi e le perdite di un fallimento e non più i contribuenti”.
Con queste parole, nel dicembre del 2014, il Commissario europeo Jonathan Hill illustrò le nuove regole sui salvataggi bancari, create con l’obiettivo di evitare nuovi salassi ai bilanci pubblici dopo gli interventi effettuati in Germania, Regno Unito, Francia, Belgio, Olanda, per non parlare del primato negativo dell’Irlanda.
Il fondamento teorico era che se azionisti e obbligazionisti rispondono direttamente, con i loro investimenti, delle perdite della banca, staranno più attenti a dove investono, togliendo i soldi dalle banche rischiose, trasferendoli a quelle più solide e quindi nel complesso accrescendo la stabilità del sistema finanziario. Secondo l’ispirazione di chi ha disegnato il nuovo sistema, nel passato questa disciplina mancava perché le perdite venivano distribuite tra tutti i contribuenti, mettendole a carico del bilancio pubblico. Pertanto i contribuenti pagavano anche per rischi che non avevano assunto direttamente.
Peccato che la nuova filosofia sia stata applicata per la prima volta proprio in Italia, ove l’intervento pubblico si era limitato a un prestito (a tassi a usura) a Monte Paschi. Su questo la polemica infuria, assieme alle grida di chi chiede di fare un passo indietro, tornando al vecchio principio che il risparmio, incolpevole e ignorante dei rischi, vada comunque salvato. Purtroppo non è più così. Certo, il risparmio, ben protetto dalla Costituzione, ma tutelato. Ma senza illudersi che possa essere stesa una rete di protezione che valga per tutti, oltre i “casi umani” e l’emergenza che deve riguardare i più bisognosi.
Merita, al proposito, prender esempio dal Care Act inglese del 2014, che rivede profondamente i principi del welfare del Regno Unito. D’ora in poi, si legge, la pensione dei cittadini sarà sempre più assicurata dalla previdenza integrativa, chiamata a surrogare la pensione pubblica. Per questo motivo, la tutela dei quattrini, sia quelli di oggi che quelli futuri, rappresenta un obiettivo strategico per lo Stato. Di qui la legge prevede che le autorità locali debbano facilitare l’accesso dei cittadini alla consulenza finanziaria disciplinata tramite enti no profit (money advice service piuttosto che pension wise). “Le autorità locali dovranno avere un ruolo importante per facilitare l’accesso all’informazione finanziaria indipendente qualora i servizi pubblici non siano attrezzati in materia”. Insomma, prima di sottoscrivere un prodotto consigliato da una banca o altro intermediario, il cittadino potrà consultarsi con un esperto indipendente che gli consiglierà (senza indirizzarlo verso un intermediario o l’altro) la strategia a lui più adatta per età, aspirazioni, attese di reddito. L’istituzione di sportelli di questo tipo potrebbe rivelarsi più efficace della compilazione di questionari illeggibili che non tutelano nessuno.
E, tanto per parlare di cultura, perché non utilizzare, se ci sono, i 500 euro promessi ai futuri elettori diciottenni per istituire corsi di cultura finanziaria, seri e severi entro l’ambito scolastico? Forse è più importante capire come opera un tasso di interesse o i rischi che comporta un default piuttosto che farsi quattro risate a teatro. Anche se studiare di più, si sa, non sempre porta voti.