Occupazione e crescita stentano a decollare in Italia, mentre negli altri Paesi europei le cose vanno decisamente meglio. È quanto risulta dall’ultimo bollettino economico della Bce, secondo cui nel nostro Paese “l’occupazione complessiva è rimasta pressoché invariata, in controtendenza rispetto all’insieme dell’area dell’euro e alle sue economie più piccole”. Il confronto risulta sfavorevole non solo nei confronti di Germania e Spagna, ma anche di Portogallo, Irlanda e Grecia. Anche per quanto riguarda il Pil, se in Italia entro fine anno crescerà dello 0,8%, la media dell’area euro è del +1,5%. Ne abbiamo parlato con Leonardo Becchetti, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.



Professore, che cosa non sta funzionando nell’economia italiana?

Gli italiani non hanno fiducia nel futuro perché il lavoro è precario e la situazione è difficile, e quindi c’è una tendenza ad accumulare risparmio per motivi cautelativi piuttosto che a consumare. È questo a rallentare la ripresa.

Da dove nasce questa incertezza?



Attraverso la globalizzazione, oggi siamo in un regime di concorrenza con Paesi nei quali si lavora per un dollaro al giorno. A parità di qualifiche, le imprese spostano il lavoro dove costa meno. Quindi il problema è non assecondare questa corsa al ribasso.

Qual è la soluzione?

Anziché introdurre dei bonus spot da 80 euro, ritengo che sia fondamentale introdurre una misura, sul modello del reddito di cittadinanza, come esiste negli altri Paesi europei. Le regioni stanno facendo delle riflessioni in materia, ma sarebbe importante che il governo si muovesse in questa direzione. Viviamo in un mondo molto diverso da quello dei nostri genitori, i quali avevano lavori stabili e ben remunerati, e quindi erano più propensi ad avere fiducia nel futuro, consumare e indebitarsi.



Questa soluzione non rischia di limitare i margini di mercato?

Il mercato non è solo libertà di iniziativa, ma anche un insieme di regole. Oggi viviamo in un sistema di regole nel quale la concorrenza globale è già molto forte, e dove crea e distrugge posti di lavoro. Non è un caso che ci sia una difficoltà a fare ripartire i consumi e che l’inflazione sia a zero o negativa.

A incidere è anche l’incertezza sulle tasse?

È possibile. L’incertezza non riguarda però soltanto le tasse, ma anche i servizi che può ricevere un cittadino. Oggi è molto importante anche la sanità. Da una certa età in poi avere l’accesso ai servizi sanitari o avere la possibilità di pagare per prestazioni di qualità equivale ad allungare la propria vita. I progressi infatti sono molti, ma le cure sono costose. È quindi importante avere a disposizione un accesso alle cure, da cui dipende la stessa aspettativa di vita. A fronte delle tasse che paghiamo, abbiamo dei servizi gratuiti a basso prezzo che hanno contribuito ad aumentare l’aspettativa di vita nel nostro Paese.

Oltre che con il reddito di cittadinanza, in quali altri modi è possibile fare ripartire i consumi?

L’efficienza energetica delle abitazioni può dare l’impulso a una grande politica di ristrutturazione edilizia, con iniziative che sono ad alta intensità di lavoro e quindi possono creare molto lavoro e molta occupazione.

 

Nel frattempo lei come vede la situazione del commercio estero?

Una parte delle nostre imprese continuano a esportare e a rimanere sui mercati internazionali. Quella parte resta competitiva, pur tra alti e bassi. Il problema sono tutte le altre imprese che non hanno quella forza e quindi lavorano soprattutto sul mercato interno o devono essere aiutate per accedere ai mercati esteri.

 

Il rialzo dei tassi della Fed quali conseguenze può avere sulle esportazioni italiane?

Il rischio è che aumentino le difficoltà finanziarie dei Paesi in via di sviluppo, in particolare di quelli che contano molto sui proventi petroliferi e sono altamente indebitati. La conseguenza può essere una riduzione della domanda di prodotti italiani da parte di questi Paesi.

 

(Pietro Vernizzi)