Dell’intervista del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, ieri su Repubblica – ma anche della coda serale nel salotto televisivo di Fabio Fazio – ha colpito soprattutto un silenzio. Nella fluviale autodifesa per i dissesti malpilotati di Banca Etruria & C. non è mai citato una volta il presidente (italiano) della Bce, Mario Draghi. La stessa Banca centrale dell’euro, che da un anno ha centralizzato anche la vigilanza bancaria, viene nominata un paio di volte e mai in passaggi-chiave.



Nel primo Visco ricorda la sue presenza istituzionale nel consiglio direttivo di Francoforte (quello che decide la politica monetaria) ma ignora completamente l'”Unione bancaria” e l’organismo responsabile della supervisione: guidato dalla francese Danièle Nouy e partecipato dal vicedirettore generale della Banca d’Italia, Fabio Panetta. E dire che altrove il governatore fa riferimento con soddisfazione al caso di Veneto Banca, che proprio sabato ha deciso la trasformazione in Spa, ricapitalizzazione e quotazione in Borsa. Ma ciò che ha spinto 12mila soci della Popolare trevigiana a un sì “bulgaro”, per quanto difficile, è stata la lettura – in apertura d’assemblea – di una lettera dura e perentoria firmata dalla Nouy, non da Visco.



Perché Visco ha “rimosso” platealmente Draghi e la vigilanza europea nel vortice delle polemiche italiane sui fallimenti bancari e il risparmio tradito? La proverbiale citazione, nell’intervista, di un quadro rinascimentale a lungo presente al piano nobile di Via Nazionale (un San Sebastiano) può fornire una prima risposta: Visco ha voluto far scudo a Draghi. ha evitato accuratamente di scaricare barili verso Francoforte. Non ha voluto dare adito alla minima recriminazione nazionalistica, come pure quelle agitate dal premier Matteo Renzi. Sarebbe stato troppo rischioso per Visco evocare un Draghi “cinico” verso il sistema bancario italiano: al pari del Draghi 2011, che prima ancora di entrare nell’Eurotower firma la lettera che con cui Germania e Francia condannano l’Italia a ull’austerity, che è stato poi il motore primo della crisi bancaria odierna. Né – viceversa – il numero uno di Bankitalia ha voluto additare dall’Italia un Draghi “debole”: sostanzialmente incapace di esercitare il suo potere – formalmente unitario – di presidente Bce anche sul versante della vigilanza. Un Draghi sotto scacco anche nel suo ruolo principale di pilota dell’euro, intenzionato a proseguire nelle azioni di stimolo monetario alla ripresa (quantitative easing) contro l’opposizione aperta della Bundesbank. Ma il pericolo più serio, per il successore di Draghi, era quello di accreditare la proposta controffensiva di Renzi: una commissione d’inchiesta, una rilettura critica complessiva – politica ed eventualmente giudiziaria – di quanto è accaduto in Italia fra banche e vigilanza, da quando Draghi prese bruscamente il posto di Antonio Fazio in Via Nazionale e poi – più prestigiosamente – quello di Jean-Claude Trichet all’Eurotower.



Il Visco-San Sebastiano, nondimento, si è dimostrato poco dosposto a farsi ferire dalle frecce della polemica politica, meno che mai mortalmente. Ciò che è accaduto nelle ultime settimane viene attribuito a un coacervo di cause esterne, per lo piu’ banali e scontate: il lungo “maltempo” sui mercati dopo il crollo di Wall Street e la crisi dello spread italiano. Qualche caso di mala gestio in banca, certo: ma quando e dove non è avvenuto? Le difficoltà tecnico-burocratiche della vigilanza su una finanza sempre più complessa; e il solito dualismo con la Consob: ma mai nulla di personale, per carità. Gli aiuti di Stato che altri paesi europei hanno profuso a piene mani nei loro salvataggi bancari mentre all’Italia sono state mozzate tutte le dita? “Beh, la Commissione Ue ha ritenuto che il Fondo interbancario italiano etc etc etc….”. Last but not the least: mai parlato di dimissioni con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

“Chi ha sbagliato pagherà”, ha titolato Repubblica a tutta prima pagina: ma par di capiro che l’intervistato non ritiene di aver sbagliato né di dover pagare alcunché. Al massimo pagherà il presidente della Consob Giuseppe Vegas: da tempo un dead man walking, reo confesso di non venire più consultato da nessuno su nessun dossier di sua competenza. Difficile che paghi il ministro dell’Economia, Piercarlo Padoan (altro mai nominato). Gli ex amministratori di Banca Etruria? Qualche multa “in tempi tecnici”. Poi se ne occupi il braccio secolare della magistratura: se vorrà. E i risparmiatori? Dall’intervista di Visco si ha l’impressione che siano stati vittime di una calamità naturale o poco più: meritevoli, forse per questo, di qualche soccorso umanitario da parte del governo.

“Perché i tempi stanno cambiando”: è il titolo dell’ultimo libro di Visco che – ça va sans dire – è stato il pretesto ufficiale dell’invito a Chetempochefa. In effetti i tempi stanno cambiando, anche se magari solo un po’. Cinquant’anni fa il governatore Guido Carli ispirava le note “Bancor” estese sull’Espresso da Eugenio Scalfari, fondatore in carica di Repubblica: che tuttora offre protezione totale a Draghi e Visco, “a prescindere”. La stessa protezione garantita dal Pd al ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, sedicente figlia di un “padre perbene”, ancorché plurisanzionato (ma mai allontanato) dalla Vigilanza nel suo ruolo di vicepresidente di Banca Etruria. Fazio (Antonio) invece fu cacciato per un avviso di garanzia per cattiva vigilanza e poi condannato due volte in Cassazione: ma non ebbe mai diritto di tribuna su Repubblica. E naturalmente i tempi devono ancora cambiare parecchio perché un governatore – prima di andare sui giornali o in tv – si presenti in Parlamento per rispondere democraticamente a tutte le domande su uno scandalo bancario.