S’inasprisce il contenzioso bancario. Matteo Renzi, minaccia di render pubblico lo striminzito carteggio con i commissari Ue che hanno imposto, in pratica, la soluzione del bail-in per le banche commissariate, vietando il ricorso al Fondo di garanzia interbancario che avrebbe evitato danni e sacrifici ad azionisti e, soprattutto, ai portatori di bond. Dietro la mossa figura il sospetto, fondato, che dietro l’intransigenza miope della signora Vestager (contraria per presunta violazione delle norme sulla concorrenza) e di mister Hill (intransigente, forse per guadagnarsi qualche credito a vantaggio della City) ci siano forti pressioni della Germania. Del resto Berlino, contraddicendo le regole condivise all’avvio dell’Unione bancaria, ha in pratica respinto la “terza gamba” dell’accordo, quella che prevede una garanzia comune sui depositi delle banche vigilate dalla Bce e sottoposte all’analisi dell’Eba. Wolfgang Schauble, dal canto suo, è stato al solito esplicito: la garanzia comune sui depositi richiede, a suo dire, una modifica dei trattati costitutivi dell’Ue. In assenza di questo passo in avanti (comunque osteggiato dal politico tedesco più influente dopo Angela Merkel), sarà inevitabile il ricorso alla Corte di Karlsruhe che potrebbe (anzi dovrebbe) far saltare l’accordo. 



Insomma, per l’ennesima volta l’Unione sembra un binario morto. E per l’Italia (ma non solo) si profila di nuovo la domanda più inquietante: ma che ci serve quest’Europa che c’impone vincoli e sacrifici, ma non ci offre alcuna garanzia? Non è il caso di riaprire il solito tormentone, tra euroscettici (cui non mancano argomenti, ma privi di una strategia) e partiti filo europei, in grave difficoltà. Al punto che Renzi, che sa fiutare il vento, si sta spostando a tutta velocità sul versante dei contestatori della linea tedesca, raccogliendo consensi a Est (vedi partita del Nord Stream) e magari a Londra, impegnata a raccogliere garanzie che servano a scongiurare il Brexit. Semmai è il caso di capire le possibili ragioni del voltafaccia tedesco, al di là delle giuste rimostranze. 



Tanto per cominciare, è evidente che le banche tedesche non sono in buona salute. L’ultimo siluro piovuto sul sistema bancario tedesco riguarda Deutsche Bank. L’indagine interna commissionata dal nuovo ceo, l’inglese John Cryan, ha preso atto che il “buco” delle operazioni della filiale di Mosca è di almeno 10 miliardi di euro contro i 6 individuati in un primo tempo. Gli ammanchi sono legati a operazioni tese a consentire l’esportazione illegale di capitali da parte della clientela privata russa. Si tratta dell’ultima infrazione, al termine di un anno nero che ha visto l’ammiraglia del sistema del credito tedesco coinvolto, in pratica, in tutte le indagini contro gli illeciti bancari condotti dalle autorità Usa ed europee. 



Deutsche Bank è stata indagata (e condannata) per le attività sul mercato dei cambi e delle infrazioni sul Libor, nonché per altre condotte illecite sul mercato Usa. Sotto la pressione delle multe inflitte dai regolatori di Washington, Bruxelles e Londra (l’accusa riguarda anche l’ostruzionismo opposto alle autorità), il nuovo vertice è stato costretto ad avviare una drastica azione di pulizia del bilancio (in rosso per 6 miliardi) e un drastico cambiamento delle strutture di management. 

I guai del sistema del credito tedesco non finiscono qui, nonostante i 247 miliardi versati dal 2008 in poi dallo Stato federale per salvare le banche. Tutto è cominciato, in ordine di tempo, con il coinvolgimento della Ikb, una piccola banca regionale, travolta fin dalle prime avvisaglie del tracollo dei subprime, i mutui ad alto rendimento (e ad alto rischio) collocati dalla finanza Usa. Pochi mesi dopo è toccato a Dredsner Bank rifilata a Commerzbank, altro istituto dalla salute non brillante. Le Landesbanken, controllate dai Laender e dalle autorità comunali, hanno un lungo record di fallimenti e incagli. Una di esse, l’amburghese Hsh, è stata salvata in extremis per una discutibile esenzione di Bruxelles. 

Non è il caso di subire prediche per la pur discutibile gestione delle banche di casa nostra (specie in Toscana, dove l’intreccio con la politica è più che inquietante) da un pulpito del genere, è il coro che si leva dalle nostre parti. Il che è senz’altro vero, ma la polemica rischia di oscurare il problema. 

Proprio la crisi del sistema bancario tedesco è l’origine della chiusura delle autorità comunitarie. La sensazione è che sia Berlino che Bruxelles siano consapevoli che presto sarà necessario metter mano a una profonda revisione dei conti e delle regole delle banche oltre Reno. La ristrutturazione di Deutsche Bank è solo la punta dell’iceberg di un intervento necessario per far ripartire l’economia a livello europeo. Di qui l’obbligo a “conservare le munizioni” in vista della sfida più impegnativa. 

Vista con questa angolatura la questione cambia: la partita del credito non si gioca ad Arezzo, bensì a Francoforte, Parigi e anche a Milano, capitali di un sistema che, per ripartire, ha bisogno di un forte investimento comune. Se non lo si capisce, la spinta alla ripresa resterà materia per convegni. O, peggio, di campagne elettorali, tanto più virulente quanto vuote.