Nel 2015 gli italiani spenderanno 2,6 miliardi di euro per i pasti della tradizione natalizia, con una crescita del 5,7% sul 2014 e una spesa media di 99 euro a famiglia. Circa 2,8 milioni di persone, cioè il 6% degli italiani, però non festeggeranno affatto. È quanto risulta da un sondaggio realizzato da Swg per Confesercenti. Mentre secondo il Centro Studi di Confindustria, per l’intero 2015 la spesa delle famiglie è cresciuta dello 0,9%. Ne abbiamo parlato con Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.



Professore, ci stiamo lasciando alle spalle il periodo più nero della crisi?

Una parte del Paese comincia a vedere la luce in fondo al tunnel. I tassi di crescita non sono ancora così ampi da poter dire che tutti quanti consumeremo di più per Natale, ma questo certamente vale per molti.

La tendenza al miglioramento è effettiva?



Nel corso del 2015 la situazione è rimasta sostanzialmente invariata. C’è un segno più, e questo di certo va considerato in modo favorevole, ma i veri risultati sono ancora da archiviare. Le speranze che la situazione stia gradualmente migliorando ci sono e chiuderemo l’anno in positivo per qualche frazione di punto. Ci sono segnali che indicano la possibilità di una graduale ripresa.

Quali sono le opportunità che ci attendono per questo anno nuovo?

L’elemento centrale è che non ci sono altre manovre che appesantiscono il quadro della situazione economica delle famiglie italiane. La situazione potrebbe essersi stabilizzata, ma c’è da attendersi e augurarsi che la manovra produca qualche effetto favorevole che consenta di guardare sempre di più con fiducia al futuro.



Quali sono invece le incognite e i rischi che abbiamo davanti?

Le incognite sono due. La prima è legata alla situazione europea: l’Italia è il grande Paese che più di ogni altro ha fatto i “compiti a casa”, e ne ha pagato il prezzo duramente. Nello stesso tempo le regole europee apparentemente non sono uguali per tutti. Quindi il rischio che queste regole possano diventare un ostacolo esiste. Questo è uno degli ostacoli che dipendono solamente dalla mancanza di una genuina solidarietà europea, cioè dal fatto che si usano due pesi e due misure. L’Italia è il Paese che ha fatto più di tutti, a parte la Grecia, e più di tutti ha registrato un segno pesante della crisi negli anni passati, anche perché ha ricevuto meno di tutti. Ci sono però anche altri fattori di incognita nel 2016.

Quali?

In primo luogo il referendum in Gran Bretagna, con una situazione che potrebbe diventare molto critica in tempi rapidi. L’anno prossimo è inoltre in scadenza una tornata molto elevata di titoli di Stato italiani. Un atteggiamento non favorevole alla crescita da parte di uno dei componenti più importanti dell’Unione europea e dell’area euro potrebbe avere inoltre delle conseguenze imprevedibili. Qui non si parla tanto dell’Italia in sé ma di che cosa si fa a Bruxelles. A ciò si aggiunge l’incertezza che già sta derivando dal fatto che il quadro economico internazionale è in ulteriore cambiamento.

 

Che cosa sta cambiando?

La Cina rallenta e gli effetti dei nuovi tassi Usa sui Paesi emergenti sono ancora tutti da misurare. Il tasso di inflazione zero, che crea problemi a livello del debito, ormai è un fatto: la Bce sta operando perché si inverta la situazione, ma ci vorrà del tempo. Mettendo insieme tutti questi fattori, il quadro in generale è caratterizzato da un mantenimento della situazione. Questa situazione di eccesso mondiale di offerta e di difficoltà sui mercati rappresenta un ostacolo in più per le esportazioni italiane.

 

(Pietro Vernizzi)