Nei prossimi giorni, si intensificheranno i discorsi del Presidente del Consiglio, e di altri autorevoli componenti del Governo, nel presentare il 2015 come l’anno in cui si è usciti dalla recessione e il 2016 come quello della “vera svolta” che preluderà a un nuovo “miracolo economico”. Come valutarli?

Senza dubbio, dopo circa sette anni, nel 2015 il saggio di crescita del Pil ha avuto un segno positivo (anche se modesto – siamo con la Grecia i fanalini di coda dell’Eurozona – e fragile). Senza se e senza ma, però ci sono importanti chiamate alle urne dal cui esito dipende il futuro del Governo in carica: in primavera (più o meno tarda) si terranno elezioni amministrative in città come Milano, Roma e Napoli, e successivamente il referendum confermativo delle riforme istituzionali. Se il Governo risulterà sconfitto in due delle grandi città sarà un’anatra zoppa per il resto della legislatura. Se perde il referendum elettorale, sarà l’anatra di una natura morta. Dunque, occorre incoraggiare le truppe e presentare loro un sentiero di “attesi” trionfi.



Cosa dicono i numeri? Le previsioni quantitative dell’Istat, dell’Ocse e del Fondo monetario internazionale prevedono una crescita dell’1,3%-1,4% , non molto distanti da quelle sulla cui base il Governo ha impostato la legge di stabilità. I 20 istituti del “consensus” (tutti privati, nessun italiano) sono leggermente meno ottimisti poiché sottolineano la fragilità di stime effettuate senza tener adeguatamente conto dell’incertezza internazionale che plasma queste ultime settimane (principalmente a ragione del terrorismo e di guerra alla porta di casa). Raggelanti le stime di Moody’s : una crescita al massimo dell’1% (non certo l’inizio di un nuovo “miracolo economico”), senza tenere conto dell’elemento incertezza che la abbasserebbe ancora di più.



Occorre sottolineare che la struttura del modello previsione di Moody’s si differenza da quella degli altri. Il suo architrave è un modello dell’andamento dei mercati finanziari da cui si ricavano le prospettive dell’economia reale. Gli altri, invece, sono variazioni del modello di Lawrence Klein che ha come elemento esogeno principale il commercio mondiale e, quindi, le esportazioni.

Questa, quindi, la cornice quantitativa. Non è una cornice decisamente incoraggiante. Si esce, è vero, dalla recessione, ma con una crescita tra l’1% e l’1,4% non si genera occupazione. Anzi, aumenterà ancora la disoccupazione dato che numerosi uomini e donne che, scoraggiati, hanno abbandonato il mercato del lavoro, vi torneranno a cercare occupazione. Se poi cominciano ad avere esiti positivi le misure per il miglioramento della produttività è possibile un decremento netto del numero degli occupati.



Ci sono, poi, elementi preoccupanti emersi negli ultimi giorni e che, quindi, le stime quantitative non possono tenere in conto. Il principale riguarda l’aumento dell’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni: resta al 2,6% del Pil solo sulla base di ipotesi “eroiche” di gettito, di contenimento della spesa, nonché di andamento dell’economia reale. Probabilmente già della prima “relazione” sui conti pubblici (marzo) sarà chiaro che il disavanzo supererà il 3% del Pil e l’Italia sarà soggetta a una “procedura d’infrazione” da parte delle autorità dell’unione monetaria. Anche in quanto l’aumento dei tassi Usa peserà sul rifinanziamento del debito pubblico.

Non promette nulla di buono il cambiamento di atteggiamento del Presidente del Consiglio nei confronti della Germania: da corteggiamento sfacciato alla Cancelliera alle male parole o quasi. I tedeschi non replicano, ma è noto che a Berlino Frau Merkel non vede l’ora di “sculacciare il discolo”. In aggiunta, il salvataggio delle banchette mostra, nelle cronache dei quotidiani, lati sempre più ambigui nelle interazioni con varie autorità e mina quella fiducia che dovrebbe essere essenziale alla ripresa (e agli esiti di elezioni amministrative e referendum).

Se io fossi a Palazzo Chigi non sarei tanto sereno, per ricordare un aggettivo tanto frequente nei tweet di Renzi al suo predecessore.