L’Italia è ancora in prognosi riservata, anche se l’apice della crisi sembra superato. È questo, in estrema sintesi, il messaggio che emerge scorrendo i numeri, i grafici e le tabelle contenuti nel terzo Rapporto sul benessere equo e sostenibile (Bes 2015). L’Italia prova cioè a tirarsi su dopo il collasso avuto negli anni più severi della crisi, ma la reazione appare ancora debole. Niente euforismi o eccessivi pessimismi nella lettura dei dati dunque, ma una reale presa di coscienza di una situazione di sostanziale stabilità con qualche bagliore all’orizzonte. 



Leggendo gli indicatori economici emerge infatti un moderato aumento del reddito disponibile (+0,1% nel 2014) che spinge comunque in avanti i consumi delle famiglie che modificano, di conseguenza, i loro comportamenti, mettendo sempre meno in atto strategie per il contenimento della spesa. Si riducono il rischio di povertà, la povertà assoluta e la grave deprivazione, ma i valori di queste riduzioni non sono ancora tali da poter consentire all’Italia il cambio di passo di cui necessita. 



Queste tendenze appaiono peraltro connesse con la crescita (+0,2% rispetto al 2013) della quota di persone occupate di età compresa tra i 20 e i 64 anni (59,9% nel 2014). Il circolo virtuoso della ripresa economica, nonostante tutto, sembra dunque muovere i primi passi generando una certa dose di ottimismo verso il futuro così come descritto dai dati contenuti nella dimensione del benessere soggettivo. Sviluppi positivi si registrano anche in termini di recupero della coesione sociale del Paese, messa a dura prova dalla crisi. In questo specifico ambito è fondamentale l’apporto dato dalle reti sociali: cresce infatti la fiducia negli altri (+2,3% rispetto al 2013) e la percezione di poter contare sulla propria rete relazionale. 



Il Rapporto conferma anche dati positivi divenuti ormai consuetudine. È il caso del dominio della salute che ci dice che la vita media degli italiani è ancora in aumento e che quella in buona salute è pressoché stabile. Gli indicatori che monitorano gli stili di vita degli abitanti della Penisola non registrano infatti miglioramenti degni di nota nelle abitudini alimentari e sportive. Malgrado ciò, almeno in questo settore, siamo tra i primi in Europa. 

Ma mentre la lettura di questi dati fornisce un quadro dinamico e tutto sommato positivo del Paese, in altri ambiti si registra una certa staticità. Non che la staticità sia di per sé negativa, ma in alcuni specifici casi sembra delineare delle problematicità divenute ormai quasi strutturali. È il caso, per esempio, dei risultati delle misurazioni effettuate nel Sud del nostro Paese: tutti gli indicatori continuano a evidenziare che la situazione del Mezzogiorno è decisamente più complicata e difficile di quella del resto della penisola. E naturalmente queste tendenze influenzano il dato medio nazionale che deriva dalla sintesi delle rilevazioni effettuate su tutto il territorio. Insomma, a un Nord Italia che fa registrare segnali di ripresa corrisponde un Sud che è fermo o che addirittura arretra ulteriormente come nel caso dell’andamento dell’occupazione che, nel Mezzogiorno appunto, continua a diminuire anche nel 2014 (tasso di occupazione al 45,3%). 

Nonostante alcuni segnali positivi, permane anche un altro tipo di divario: quello di genere nella partecipazione al mercato del lavoro. Pur continuando a ridursi, infatti, resta tra i più alti d’Europa e, per colmarlo, dovrebbero lavorare almeno 3 milioni e mezzo di donne in più di quante attualmente occupate. A destare particolare preoccupazione è la situazione dei giovani italiani. È vero che la quota di Neet (i giovani che non studiano e non lavorano), dopo anni di crescita, si mantiene stabile rispetto all’anno precedente, ma nel rapporto appena presentato emerge un altro dato da tenere sotto controllo: la riduzione del tasso di immatricolazione dei diplomati nel 2014/2015 (-0,5%) che potrebbe far pensare all’inizio di un progressivo allontanamento dall’Università. Così come appare non trascurabile la forte esclusione dei giovani dal mercato del lavoro a fronte della continua crescita del tasso di occupazione degli ultracinquantenni. Insomma, un altro dei divari che regala all’Italia un primato, in negativo, in Europa. 

Ulteriore segnale dei giovani da tenere sotto controllo è il significativo calo rispetto alla partecipazione politica (parlare, informarsi, partecipare on line). Nonostante tutto, però, sono gli stessi giovani a confermarsi il segmento del Paese più ottimista rispetto al futuro. “Ma come può accadere questo?”, verrebbe da chiedersi. Forse perché loro hanno capito, prima e meglio di tutti gli altri, che la felicità è un percorso e non una destinazione.