“Queste misure hanno bisogno di un po’ di tempo. Poi vedremo”. È un sorriso tirato quello di Mario Draghi quando gli viene chiesto se si attendeva la reazione negativa dei mercati alle misure annunciate dalla Banca centrale europea. Ma il banchiere centrale è un comunicatore troppo abile per non aver messo nel conto la delusione dei listini, esattamente simmetrica alle aspettative crescenti suscitate dalle anticipazioni che, dal 22 ottobre a oggi, hanno scandito la marcia di avvicinamento alla riunione di oggi. C’è da domandarsi, perciò, perché stavolta la Bce ha alimentato attese che, dopo la delusione, rischiano di rivelarsi un boomerang. Un errore? Rischio calcolato? Una punizione per gli speculatori già pronti a sfruttare l’eventuale bolla? E quanto ha pesato l’imminente svolta della Fed che si accinge ad alzare i tassi? E quanto i problemi di Russia, Turchia e Brasile, tre nervi scoperti dell’export dell’Eurozona?



Prima di tentare una risposta, guardiamo al bollettino dei mercati nel pomeriggio, dopo gli annunci di Draghi. L’euro, innanzitutto, si è subito apprezzato sul dollaro a 1,080 da 1,061 della chiusura di ieri: il movimento più violento dal 2009. In parallelo, il rendimento del Btp italiano a 10 anni è salito di 17 punti base all’1,55%.  Negative anche le Borse: Piazza Affari, dopo un picco negativo a -1,8%, ha ridotto il passivo a poco più di un punto percentuale. Più che doppia la perdita di Parigi e Francoforte. 



È stata questa la reazione alle misure soft del direttorio. Ovvero: 

Il tasso di interesse sui depositi presso la banca centrale è ridotto di 10 punti base, al -0,30%, con effetto dal 9 dicembre 2015. Invariati i tassi sulle operazioni di rifinanziamento principali e sulle operazioni di rifinanziamento marginale a 0,05% e a 0,30%. Il taglio dei tassi sui depositi, ha sottolineato Draghi, è senz’altro la misura più efficace per creare inflazione nel breve termine, perché comporta un indebolimento dell’euro che, peraltro, ieri si è arrestato. 

Il piano di acquisto bond sarà in vigore fino al marzo del 2017, sei mesi in più rispetto alla scadenza originaria del settembre del 2016. Non c’è stato invece l’allargamento dei quantitativi che restano fissati a 60 miliardi mese, deludendo così le previsioni degli ultimi giorni.



La Bce reinvestirà il capitale dei titoli acquistati in scadenza. I bond, ha garantito Draghi, resteranno “molto a lungo” nel capitale della Bce. 

La Bce potrà estendere gli acquisti ai titoli municipali e a quelli emessi dalle regioni. Ma Draghi non ha voluto fare stime sull’ammontare degli acquisti. In particolare, la Bce potrà operare nell’ambito delle emissioni dei Lander rimediando alla scarsità della “carta” tedesca.

Infine, i finanziamenti trimestrali e settimanali alle banche continueranno, a tasso fisso e per un “ammontare illimitato” almeno fino al 2017. 

Più delle misure annunciate, però, hanno pesato quelle che non ci sono. Non è passato l’acquisto di corporate bond, così come l’agognato allargamento ai non performing loans. Ma, soprattutto, non è echeggiato l’allarme sulla congiuntura dell’Eurozona che avrebbe giustificato misure estreme. Anzi, ha sottolineato il banchiere centrale, il Qe è stato finora un “grande successo” che ha garantito all’eurozona un punto di Pil e mezzo punto di inflazione in più. “Non è un piano da cambiare – ha ammonito -. Semmai si tratta di fare di più nella stessa direzione perché sta funzionando”.

Ovvero non vanno trascurati i risultati raggiunti: l’impatto sui flussi finanziari è stato massiccio, al punto che le stime di Deutsche Bank mostrano come la politica monetaria abbia indotto gli investitori internazionali a cedere 400 miliardi di obbligazioni in un anno, cioè una somma superiore all’eccedente delle partite correnti. “Ormai – commenta Andrea Goldstein di Nomisma – la parità con il dollaro, che in altri tempi avrebbe fatto sobbalzare sulla sua sedia Jens Weidmann, è un miraggio a portata di mano”. Ma d’altro canto Draghi, che non ha avuto l’unanimità dei consensi, più di tanto non può fare: “La Bce non può permettersi di rischiare su altri strumenti. E infine remunerazione negativa della deposit facility significa pesare sulla redditività delle banche”.

Perciò accontentiamoci di stime di crescita del Pil 2016 a +1,7% e del lieve rialzo per il 2017 (+1,9% da +1,8%). L’inflazione? Ci vorranno almeno due anni per centrare l’obiettivo di un aumento dei prezzi poco sotto il 2%. Forse troppi, ma da solo Draghi non può fare (troppi) miracoli.