Il governo insiste sul fondo “salva risparmiatori”, anche quando dall’Ue cominciano a giungere i primi brontolìì contro la solita Italia (ma non può essere diversamente per un sistema-Paese già battuto pesantemente dalle eurocrazie al tavolo principale dei salvataggi bancari). L’Abi dal canto suo prende tempo e riconosce che l’idea di indennizzare i possessori delle obbligazioni subordinate andate in fumo nelle risoluzioni di Banca Marche, CariFerrara, Banca Etruria e CariChieti pone problemi seri di pari condizione fra i creditori. È tuttavia comprensibile che i banchieri guardino con favore a ogni possibile intervento di sollievo a valle delle quattro brusche “risoluzioni” di due settimane fa: in alcune piazze, fra l’altro, numerosi obbligazionisti colpiti minacciano già di ritirare tutti i propri risparmi dalle “new banks”, con pericolose corse di protesta agli sportelli. E le banche italiane che si sono accollate i salvataggi hanno invece la necessità di poter condurre in porto velocemente e alle migliori condizioni il ricollocamento delle quattro “new banks” affidate a Roberto Nicastro. La stessa Acri, infine, prepara tentativi di recupero del patrimonio di sei Fondazioni, bruciato nelle risoluzioni.
Resta tuttavia l’impressione che il fondo “salva risparmio” sia l’exit sbagliata da una crisi bancaria sbagliata. Il governo – Palazzo Chigi e il Mef – sembra concentrare la propria attenzione sul dito delle conseguenze elettorali spicciole, esponendosi da subito al bombardamento istituzionale europeo e a quello demagogico di tutte le opposizioni politiche interne. Che significa “sostegno alle fasce svantaggiate”? Fra i 150mila obbligazionisti subordinati esposti per circa 750 milioni con le quattro banche risolte non vi sono solo “vecchiette che hanno perso tutto”: vi sono anche ricche famiglie (e magari pure investitori professionali) che avevano diversificato una piccola parte dei loro investimenti verso titoli ad alto rendimento perché rischiosi, ma di un rischio ben conosciuto.
Perché poi solo gli obbligazionisti subordinati? I loro titoli “ibridi” non sono così diversi da quelli azionari: perché i “bondisti” vanno salvati e gli azionisti no? E perché il governo si deve preoccupare solo di azionisti e obbligazionisti di banche risolte? Molti altre banche italiane – in questi giorni Popolare di Vicenza e Veneto Banca – hanno lottato o stanno lottando per sopravvivere: i loro soci hanno visto ridursi molto o quasi azzerare il valore dei loro titoli e sono stati sollecitati a ricapitalizzare le loro banche (UniCredit tre volte). Tutti investitori di mercato, poco conta se in titoli quotati o no: cosa distingue un risparmiatore meritevole di tutela a carico del contribuente?
La normativa offre da tempo al mercato altre strade, ben definite: la liquidazione civilistica di una società in dissesto; l’intervento delle authority (in Italia è la Consob che vigila sulla correttezza e trasparenza dell’offerta di strumenti d’investimento del risparmio); il ricorso alla magistratura se un risparmiatore ritiene di essere stato vittima di illeciti da parte di un emittente o di un intermediario di titoli. Non da ultimo, il Mef studierebbe un prelievo dai ricavi della “bad bank” in cui sono stati fatti confluire i crediti inesigibili delle quattro banche. Ma quei soldi non sono del fisco ma delle banche – private – che hanno finanziato – quasi obbligatoriamente – i salvataggi. L’alternativa sarebbe la possibilità per gli obbligazionisti danneggiati di portare in deduzione dall’Irpef le loro perdite come una spesa medica: ma a che titolo in un budget 2016 già sottoposto a tante tensioni ed esami?
Il tema vero – la “luna” rispetto al “dito” del fondo salva-risparmiatori – rimane comunque il presente e il futuro del sistema bancario italiano. Che in questo momento ha una fame terribile di patrimoni, di solidità, di fiducia. Dare una manciata di quattrini a casaccio – con procedure dubbie e fra sospetti di secondi fini – a pochi ex investitori di alcune banche dissestate non costruisce neppure un grammo di “politica creditizia”, mirata a veri obiettivi di pubblico interesse. Tutte le autorità – Parlamento, Governo, Bankitalia e Consob e quando fosse necessario anche la magistratura – dovrebbero agire in direzione del riordino strutturale, della ripulitura e del rafforzamento del sistema: a maggior ragione quando proprio le “esemplari” risoluzioni imposte da Ue e Bce all’Italia hanno confermato quanto sia duramente competitivo lo scacchiere bancario e soprattutto quello dei regulator europei.
Un recupero di decisione e credibilità del governo italiano a Bruxelles può valere infinitamente di più di 100 o 300 milioni a piè di lista nella Legge di stabilità 2016. Una Banca d’Italia che rispolverasse in fretta capacità e prassi di indirizzare il rfiassetto creditizia – uno stile di vigilanza forte ancora pochi anni fa – contribuirebbe a far dimenticare rapidamente le quattro risoluzioni e soprattutto a evitarne di nuove.