Porca miseria, il disagio sociale ha toccato in Italia un nuovo livello record. Lo dice Confcommercio. Poi ficca il dito nella piaga: il Misery Index, elaborato dall’associazione dei commercianti, è aumentato a novembre, rispetto al mese precedente, di 0,3 punti a 22 punti. Si tratta del valore più alto da quando l’indice viene calcolato.



La Confcommercio spiega che l’aumento è imputabile al modesto aumento dell’inflazione di beni e servizi ad alta frequenza di acquisto e al progresso dello 0,2% della disoccupazione estesa. Gli esperti ricordano che quest’ultimo dato viene ottenuto aggiungendo ai disoccupati ufficiali la stima delle persone in Cassa integrazione e degli scoraggiati.



Si dirà: con sta crisi, questo è il minimo che possa capitare! Eh no cocchi! Questo impoverimento è il figlio di quello precedente, genitore della crisi. L’impoverimento è causa prima, effetto poi della crisi. La crisi è solo il registro degli eventi. Sì, perché se la crescita si fa con la spesa e non ho i denari sufficienti per farla, farò meno crescita che genererà meno ricchezza; avrò meno di prima. Più misero appunto. 

Pure l’impoverimento non è causa ma effetto dei redditi insufficienti erogati dalle imprese a chi lavora. Bastardi quelli dell’impresa? Beh, hanno sottoremunerato la sovraccapacità del lavoro che ha ingolfato il mercato, pagando però lo stesso prezzo con la riduzione dei ricavi. L’impoverimento, insomma, dilaga tra immiserenti, immiseriti da un’offerta in eccesso e chi miseramente, lavorando troppo e spendendo poco, manda la domanda in difetto che, misera, svaluta le merci.



Oibò, non si può. Tutta questa miseria è un lusso che nessuna società può permettersi, ancor meno quella dove si adoperano quegli immiseriti: la Libero Mercato Spa. Per uscire dal guado i maggiorenti ivi associati, quelli che vendono e quelli che acquistano, devono poter tornare a fare quel che gli tocca per ruolo societario. Per farlo tocca loro fare il contrario del fin qui fatto: agli acquirenti toccherà vendere la loro domanda inespressa a chi ne ha bisogno per rifocillare il potere d’acquisto; ai venditori toccherà attrezzare business che funzionino remunerando le risorse impiegate dagli acquirenti che vorranno acquistare [].

[1] Ci sono imprese che già lo fanno: Ikea remunera il tempo del montaggio dei mobili con il prezzo più basso; le tv commerciali e le free press remunerano l’attenzione prestata con la gratuità dei loro prodotti; Groupon, Groupalia, Lets Bonus remunerano l’ottimismo con risparmi nell’acquisto fino all’80%; lo fanno pure gli Outlet che guadagnano con l’aver reso perenne quel saldo che rifocilla il potere d’acquisto.

Tocca pure ai Policy Maker fare: costruire ambienti normativi e fiscali in grado di rendere conveniente quel fare alla rovescia, magari sospendendo pure l’efficacia di quelle politiche di reflazione che hanno alterato il meccanismo di formazione dei prezzi.