Non sta agli organi di informazione – ma neppure alla Procura della Repubblica di Bergamo – decidere se i comportamenti di alcune associazioni di soci di Ubi (quinta banca italiana e seconda con modello cooperativo) costituiscano o no reato. Una prima valutazione (rinvio a processo oppure no) spetterà – forse – al giudice dell’udienza preliminare. La sentenza – alla fine dell’eventuale procedimento – sarà prerogativa della magistratura giudicante: in tre gradi e in via indipendente rispetto alle ipotesi accusatorie degli inquirenti.



Non è compito degli organi d’informazione – ma neppure del governo o delle authority di vigilanza creditizia, tanto meno della magistratura – stabilire se la governance cooperativa debba essere cancellata per decreto dal sistema bancario per far spazio obbligatorio alla società per azioni, come ha deliberato due settimane fa il Consiglio dei ministri. Nell’ordinamento democratico italiano la sovranità legislativa resta affidata al Parlamento nazionale: almeno per ora. E se il compito dei magistrati (inquirenti) è l’esercizio dell’azione penale “senza se e senza ma”, analogo è quello degli organi di informazione: registrare quanto più possibile obiettivamente i fatti di cronaca.



Ieri mattina la Guardia di finanza ha nuovamente perquisito la sede di Ubi Banca, su ordine della Procura di Bergamo. A quanto si è appreso l’iniziativa concerne “nuovi filoni d’indagine” riguardo un fascicolo aperto già nella primavera del 2014. Lo ha confermato uno degli indagati “a mezzo stampa”, ribadendo che tuttavia l’indagine è la stessa e che si sente sempre “estraneo ai fatti”: Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo e anche – nella circostanza – dell’Associazione fra soci della Banca Lombarda e Piemontese (confluita in Ubi). 



L’associazione – secondo il Pm Fabio Pelosi – è indagata per l’ipotesi di “illecita influenza sull’assemblea” di Ubi nel 2013: assieme ad altre organizzazioni fra le quali la Confaib (artigiani) e la Compagnia delle opere di Bergamo. Questi soggetti – assieme all’ufficio soci di Ubi – avrebbero gestito un sistema di “deleghe in bianco” che avrebbero determinato l’esito dell’assemblea Ubi nell’aprile 2013: quando fu nominato presidente del consiglio di sorveglianza Andrea Moltrasio, ex presidente degli industriali bergamaschi. Quest’ultimo è finito nel mirino degli inquirenti assieme all’intero stato maggiore del gruppo Ubi: il vicepresidente Mario Cera; il presidente del consiglio di gestione Franco Polotti, l’amministratore delegato Victor Massiah; il consigliere Emilio Zanetti, storico leader della Popolare di Bergamo. 

In quell’assemblea – presenti in proprio o per delega 13mila soci – Moltrasio vinse su altre due liste: una guidata dall’economista Andrea Resti, l’altra da Giorgio Jannone, più volte parlamentare di Fi-Pdl e industriale cartario. Una tradizionale contesa assembleare di banca cooperativa. Di quelle che non piacciono più al Governo e neppure alla Banca d’Italia: che fanno proprie le raccomandazioni di mercati, Ue, Fmi, ecc. volte a cancellarle con un tratto di penna. Anche se ciò non potrà avvenire che attraverso la conversione in legge del Parlamento, fra oltre un mese.

Nel frattempo la cronaca registra che una Procura della Repubblica rinfresca in fretta un “caso di studio” (puramente investigativo) che sembra fatto apposta per “dimostrare” il teorema del Governo sulla rottamazione obbligatoria delle Popolari. Nel frattempo viene delineata un’ipotesi di reato societario nuova di zecca, “ad hoc” per le cooperative (nessuno ha mai pensato di impugnare il codice penale durante i lunghi anni di “dittatura” di Mediobanca attraverso patti di sindacato ultra-occulti nelle maggiori società italiane). 

Nel frattempo gli stessi inquirenti paiono intuire che l’ipotesi di reato iniziale – ostacolo alle autorità di vigilanza – è un po’ troppo formale e somiglia a quella (“laterale” e discutibile) per la quale è stato molto frettolosamente condannato l’ex presidente di Mps, Giuseppe Mussari. Nel frattempo quella Procura invia le auto della Guardia di finanza sotto la sede di Ubi la mattina della convocazione del consiglio d’amministrazione per il bilancio 2014, delicato e atteso; e poco prima dell’audizione parlamentare del presidente della Consob, Mario Vegas, su tutto quanto è accaduto (a Roma, Milano e Londra) nei dintorni del blitz del governo sulla riforma Popolari.

Nel frattempo Intesa Sanpaolo ha approvato ieri un bilancio 2014 con utili in decisa crescita e distribuzione di dividendi garantita sia per quest’anno che per il prossimo (scadenza di Bazoli come presidente e probabile revisione della governance duale). Nel frattempo Ubi continua a campeggiare nelle cronache finanziarie per via della “suasion” esercitata da molte authority perché salvi il Montepaschi. 

Nel frattempo si riunisce oggi il consiglio d’amministrazione (straordinario) di Rcs con un ordine del giorno corposo e incerto negli esiti: perdite 2014, ipotesi di cessione di Rcs Libri a Mondadori; preparazione dell’assemblea di rinnovo del cda, entro la quale è fissato anche il ricambio del direttore de Il Corriere della Sera. Il ruolo di Bazoli – in confronto aperto con le ambizioni della Fiat – è centrale.

Costruire una cronaca completa e obiettiva di quanto è accaduto ieri attorno a Ubi è complesso, insidioso. Commentarla è quasi impossibile.

Leggi anche

BANCHE/ Da Credit Agricole e Banco Bpm la "spiegazione" sulla riforma delle popolariSPILLO/ I veri errori del sistema pagati dalle banche popolariBANCHE E POLITICA/ L'ultima figuraccia di Renzi sulle popolari