Le spinte giunte negli ultimi giorni dalle autorità monetarie nazionali sui diversi segmenti del credito cooperativo contengono più di un’incognita, se non addirittura dei rischi: per il finanziamento dell’economia produttiva ma anche per la più ampia “costituzione materiale” dell’Azienda-Paese in termini di libertà e democrazia economica. È stata un’analisi sobria nei toni ma ferma e preoccupata nei contenuti quella proposta ieri alla Camera da Alessandro Azzi, presidente della Federcasse. Azzi – leader di oltre 400 Bcc italiane e presidente del comitato piccole banche dell’Abi – è stato ascoltato dalle Commissioni Finanze e Attività produttive sulla riforma delle grandi Popolari varata per decreto dal governo lo scorso 20 gennaio. E mentre ha colto l’occasione per delineare un’autoriforma in 7 punti delle “piccole” cooperative creditizie (di fatto un “no” all’ipotesi Bankitalia di trasformare il Credito cooperativo in un super-gruppo da quotare in Borsa) non si è sottratto a una valutazione del blitz che potrebbe obbligare 10 “sorelle maggiori” delle Bcc a trasformarsi in Spa.



Sul piano più ampio e critico, quello dell’evoluzione della nuova vigilanza europea, Azzi ha sottolineato che la norma in discussione in Italia pone particolare attenzione al profilo dell’adeguatezza patrimoniale, mentre il legislatore comunitario ha scelto di rinviare l’assunzione di decisioni riguardo ad altri aspetti rilevanti per la stabilità (il fatto che solo nel 2018 entrerà in vigore la disciplina relativa al quoziente di leva finanziaria avvantaggia gli intermediari più esposti dato che la leva per le banche italiane è pari a 14, quella per le banche europee è in media pari a 22, con punte di 38 in Olanda, 32 in Belgio, 26 in Francia e 25 in Germania). Per le Bcc, ha ricordato Azzi, il dato è pari a 11. Ma il decreto Popolari – ha denunciato Azzi – è giunto poco dopo uno stress test della Bce sulle 130 banche europee di rilevanza sistemica, ha posto una “particolarissima attenzione” sui rischi di credito.



Ciò “ha penalizzato un modello di intermediazione – tipico delle banche italiane e in particolare delle banche di territorio – focalizzato sul finanziamento dell’economia reale, più che sull’intermediazione finanziaria. Da quelle valutazioni derivano obblighi stringenti di patrimonializzazione e conseguenti necessità di reperire in fretta capitali sul mercato. Ma ne discendono anche diverse possibilità di finanziare l’economia reale, le imprese, le famiglie: negli ultimi tre anni, infatti, si è verificata una riduzione degli attivi totali delle banche europee dovuta in parte alla riduzione del valore dei derivati e in parte alla riduzione degli impieghi al settore privato non finanziario. È inevitabile che i dubbi sulle premesse siano sfociati – nella visione Federcasse – in dubbi di valutazione finale “sulla scelta prospettata dal legislatore di individuare un parametro esclusivamente quantitativo per il mantenimento della forma di Banca Popolare”. “Ciò rischia di imporre un limite allo sviluppo della forma cooperativa nel settore bancario, limitazione che, se non ancorata anche ad elementi di natura qualitativa, sembra in contrasto con lo stesso articolo 41 della Carta Costituzionale che garantisce come l’iniziativa economica privata sia libera e non ne condiziona la scelta della forma giuridica a dimensioni o altri criteri”.



Di fatto – ha puntualizzato Azzi – limitare in via quantitativa l’adozione di una forma giuridica potrebbe avere l’effetto di marginalizzare le imprese che adottano tale forma giuridica consentendone una crescita solo fino a una certa soglia. Più in generale,  “il rafforzamento del sistema bancario italiano nel suo complesso non può essere affidato esclusivamente all’adozione di un solo modello societario per esercitare l’attività bancaria; ma il legislatore trovi soluzioni che siano in grado di garantire questa fondamentale esigenza con l’altrettanto fondamentale esigenza di salvaguardare la libertà dei soggetti che svolgono attività di impresa di adottare la forma giuridica che ritengono più confacente al raggiungimento dei loro scopi e conferme con la tutela accordata dalla Costituzione alla libertà d’impresa e alla cooperazione”.

Negli ultimissimi giorni è stata comunque la Vigilanza della Banca d’Italia a estendere il pressing riformista direttamente alle Bcc: chiedendo loro di accelerare processi di integrazione anche al fine di favorire l’afflusso al sistema di capitali esterni. Per Azzi è stato dunque irrinunciabile rispondere sul punto: anzitutto respingendo alcune polemiche trasversali a opinione pubblica e sistema politico sul ruolo delle Bce nel “credit crunch”. “Lo stock di impieghi erogati dalle Bcc a residenti è infatti cresciuto più della media dell’industria bancaria nei settori di vocazione, piccole e medie imprese, istituzioni non profit. Le quote di mercato delle Bcc sono così aumentate nel periodo più duro della crisi anche in settori, come quello delle Pmi, in cui già registravano quote di mercato molto elevate”.

Secondo: “Per quanto riguarda la rischiosità del credito la coerenza delle Bcc con la propria missione ha anche comportato un costo in termini di riduzione dei ricavi e aumento delle partite deteriorate con qualche caso di difficoltà di singoli istituti, sempre risolto all’interno della categoria e senza costi per la collettività. Per il Credito Cooperativo è opportuno inoltre sottolineare che, se si scompone la rischiosità del credito per settore di appartenenza della clientela, si nota che le Bcc mostrano un profilo di rischio più contenuto della media dell’industria bancaria soprattutto nei settori in cui le quote di mercato sono più alte. Terzo: le Bcc italiane – che contano su 1,12 milioni di soci (un italiano ogni 60) – hanno mantenuto un solido profilo patrimoniale anche durante la crisi: il coefficiente di capitale regolamentare si è attestato in media sopra al 15 per cento (rispetto al valore minimo richiesto dalla normativa dell’8 per cento). In particolare, il Tier 1 ha superato in media il 14 per cento rispetto alla media dell’industria bancaria che si è attestata all’11 per cento.

Se ora la Vigilanza nazionale sollecita al Credito cooperativo “un maggiore livello di integrazione e la possibilità di realizzare rapidi rafforzamenti patrimoniali anche attraverso l’afflusso di capitali dall’esterno del sistema delle Bcc”, gli obiettivi possono essere “condivisibili” ma – secondo Federcasse – sono anche “non esenti da rischi significativi per la funzione specifica che la cooperazione di credito è chiamata a svolgere nel sistema economico e sociale del paese, anche alla luce del dettato costituzionale. “Gli stessi obiettivi possono essere raggiunti attraverso strade diverse”, ha rilanciato Azzi in direzione di Via Nazionale, di Palazzo Chigi, del Tesoro. Ma con quali strumenti.

Qui il presidente della Federcasse ha delineato in concreto una “Carta” di autoriforma in sette punti: – vincolo dell’indipendenza del credito cooperativo nel suo complesso da capitali esterni, soprattutto da quelli “impazienti” o speculativi; – valorizzazione della dimensione qualitativa e territoriale del fare banca mutualistica; – conferma del posizionamento di player bancario “alternativo” rispetto ai gruppi verticali, nazionali e sovranazionali, quotati e con evidenti necessità di massimizzazione del profitto; – semplificazione della struttura del network e la eliminazione delle ridondanze che impediscono sia efficienza operativa sia efficacia organizzativa indispensabili per affrontare concorrenti sempre più grandi e dotati di risorse ingenti per gli investimenti, anche in considerazione dell’evoluzione degli stili di “fruizione” dei prodotti e dei servizi bancari/assicurativi; – l’introduzione di regole e sanzioni nella gestione dell’autonomia della singola Bcc che andrà modulata in funzione della meritevolezza; – apertura a possibilità di introdurre ulteriori forme e regole di governo societario delle Bcc del network nel suo complesso che prevengano i rischi di conflitti di interesse; – sviluppo della componente industriale come snodo bancario e organizzativo capace di accrescere la competitività complessiva.

La sintesi è un “no” all’aperta moral suasion della Banca d’Italia in direzione del ricompattamento delle Bcc attorno a una capogruppo forte da quotare in Borsa. E’ invece il preannuncio alternativo di una strategia di più accelerate fusioni tra Bcc (nei vent’anni di presidenza Azzi il numero delle ex casse rurali è più che dimezzato) e di ulteriore crescita delle piattaforme centrali di prodotto e di servizio. In più, la Federcasse promette un cambio di passo nella governance: nella selezione e nella valutazione costante di presidenti, amministratori e manager per evitare che agli effetti della crisi si sommino quelli della casi di azzardo o cattiva gestione. Azzi ha confermato comunque che il Credito cooperativo intende “dialogare e confrontarsi con le Autorità di governo e di supervisione e, possibilmente, con il Parlamento”.