Dal suo “(buen) retiro”, Cesare Geronzi dice sull’esplosiva questione bancaria italiana ciò che nessun altro, in questi giorni, può evidentemente permettersi di dire: right or wrong, fuori comunque da ogni conformismo politicamente corretto. Nell’ordine (tratto dalle anticipazioni da Panorama in edicola oggi): a) “Mps va nazionalizzato, lo Stato deve diventare azionista della banca, ripulirla, risanarla e poi collocarla sul mercato”; b) “La riforma delle Popolari va fatta”, dice Geronzi, “però il governo sbaglia nel metodo e nel merito. Non mi risulta che il decreto sia frutto di un disegno strategico e del lavoro tecnico necessario”; c) “Mario Draghi? È un politico, e lo dimostra nel modo in cui parla con Angela Merkel e gestisce i rapporti internazionali. Meno male che sta dove sta, è un bene per l’Italia perché ha fatto finalmente quel che si doveva fare per difendere la moneta e ha tenuto sul binario giusto la condotta della Banca centrale europea. Draghi a Francoforte ha dimostrato di essere un grande banchiere centrale, ma non è stato un grande governatore della Banca d’Italia, come dimostra del resto la storia del Monte dei Paschi”.



La notizia è, anzitutto, che uno dei veri “banchieri centrali” del Paese degli ultimi quarant’anni rompe il silenzio mentre il sistema creditizio nazionale è attraversato da tensioni, scosse, pressioni quasi senza precedenti. Non curandosi delle non poche cicatrici lasciate da un cursus che ha annoverato la responsabilità dell’ufficio cambi della Banca d’Italia, la guida della Banca di Roma, la presidenza di Mediobanca e delle Generali, Geronzi parla come un oracolo: consapevole che la sua sortita potrà solo riuscire utile e gradita a tanti banchieri italiani sotto assedio. Si tratti di Giovanni Bazoli – con cui Geronzi ha condiviso una sorta di “duumvirato” dopo la morte di Enrico Cuccia – oppure dei tanti presidenti di Popolari oggetto della caccia alle streghe scatenata da Governo, Bankitalia e Procure.



Lui, Geronzi, ha perso il conto di tutti gli scontri affrontati sempre all’ultimo sangue, nel susseguirsi di inchieste, processi, condanne, assoluzioni su Parmalat, Cirio, Italcase, Federconsorzi. Non gli pesa neppure il ricordo di una sospensione da presidente di Capitalia. Non più tardi di due anni fa, nella sede meneghina de Il Corriere della Sera, si è divertito ad assistere alla presentazione di “Confiteor”, libro intervista con Massimo Mucchetti (oggi senatore Pd), discusso allora da Bazoli e Carlo De Benedetti moderati da Ferruccio De Bortoli. Né quel libro ha rinnegato il legame di Geronzi con il “suo” governatore della Banca d’Italia: Antonio Fazio.



Cacciato sui casi Popolare di Lodi e Bnl a fuor di popolo, di stampa nazionale e internazionale, di commissari olandesi Ue, di professori bocconiani e infine anche di magistrati milanesi per far posto a Draghi. Che, commenta ora con nonchalance Geronzi, non ha poi dato prova migliore come capo della vigilanza italiana (e ora è perfino capo della vigilanza europea, buon per lui che se la cava come “politico”, punzecchia il ragioniere di Marino). 

Quindi: il Montepaschi andava anzitutto difeso da se stesso, lascia intendere Geronzi, che a Capitalia, fra innumerevoli dossier politico-finanziari, curò anche la ristrutturazione del debito del Pci. Rocca Salimbeni andava maneggiata con le vecchie maniere dei banchieri centrali già ai tempi dell’acquisizione di AntonVeneta; e poi – evidentemente – anche dopo il dissesto: senza avventure “di mercato” come quella tentate (senza reale successo) da Alessandro Profumo, che Geronzi ha sempre considerato il suo vero opposto.

Anche sulle Popolari la bocciatura del decreto Renzi è dura, netta, “nel metodo e nel merito”. Manca “un disegno”: quello che – giusto o sbagliato – hanno avuto i grandi vecchi (Fazio, Geronzi, Bazoli, Enrico Salza a Torino oltre ai capi delle Fondazioni-chiave come Giuseppe Guzzetti, Paolo Biasi, Fabrizio Palenzona; non ultimi i leader della Popolare di Verona Giorgio Zanotto e quello di AntonVeneta, Silvano Pontello). Un disegno che – fra mille stop-and-go, fra conflitti e sbandate – ha portato alla nascita di Intesa Sanpaolo e UniCredit e cui è stato invece impedito di dare un futuro a Mediobanca e Generali e quindi a Telecom e anche a Rcs.

“Coerenza è una parola complessa, caro direttore” disse anni fa Geronzi in un’intervista a Ferruccio de Bortoli, allora direttore de Il Sole 24 Ore in procinto di tornare a Il Corriere della Sera. Nelle prossime settimane in gioco ci sarà la “coerenza” del premier Matteo Renzi e del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nel realizzare l’apparente destrutturazione del sistema bancario italiano, apparentemente ispirata a Francoforte. Apparentemente destinata a rilanciare l’austerity competitiva imposta quattro anni fa all’Italia dalla “core Europe”.

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