Chissà se – come a qualche buon amico del premier Renzi prima del decreto sulle Popolari – all’orecchio del presidente della Camera, Laura Boldrini, era giunta qualche vocina sulla mossa che Mediaset stava preparando su RayWay. “L’insider” da parte della terza carica dello Stato – se c’è stato – è stato comunque giocato tutto in politica: alzando in tutta fretta del filo spinato istituzionale attorno a viale Mazzini, evidentemente utile  contro le intenzioni sia del premier che del Cavaliere. Ma a conti fatti l’Opa sulle torri Rai rischia di essere più insidiosa del decreto ventilato dal governo per riformare la tv di Stato: prova ne è, ad esempio, lo strillo mattutino di Repubblica.it. 



“Accesso garantito a tutti gli operatori”: è questo che ha colpito (positivamente…) il giornale-azienda-partito di Carlo De Benedetti, storico arcirivale politico-editoriale di Silvio Berlusconi . E se “i titoli corrono a Piazza Affari”, Repubblica non menziona affatto la prima presa di posizione del segretario Pd della Vigilanza Rai, Marco Anzaldi. Un’Opa “incomprensibile” per Anzaldi, che cita i vincoli posti dal decreto di privatizzazione di RaiWay. Una difesa di estrema debolezza sostanziale nel momento in cui il premier – e segretario del Pd – vuole cambiare gli assetti dell’intero gruppo pubblico. 



Ma come avviene da almeno un quarto di secolo anche in Italia, il mercato si è mosso prima: e perpetra sicuramente un’anomalia italiana il fatto che “il mercato” sia tuttora rappresentato da un tre volte ex premier, tuttora leader dell’opposizione e titolare di un duopolio. Ma è anche vero che il premier e capo della maggioranza di centrosinistra è il primo che vuole superare l’attuale “regime tv”: e l’imprenditore Berlusconi (che certamente non è invecchiato come il politico) ne sta traendo conseguenze veloci. Con quello smalto che – trent’anni fa – lo portò a battere sul campo la concorrenza di Rizzoli, “vecchia Mondadori” (alleata di Repubblica), e Rusconi ben prima di trincerarsi nel duopolio con il “decreto Craxi”, antesignano dell’attuale “legge Gasparri”.



Nel merito, la concentrazione fra “torri” Mediaset (Ei) e rete Rai ha forte senso industriale (e non va persa di vista la dismissione delle torri Telecom). È quasi certo che dietro a Mediaset vi siano grandi investitori istituzionali o anche industriali: ad esempio, i fondi di private equity già interessati alle stesse torri Ei. Non è neppure escluso il coinvolgimento di grandi broadcaster: il mercato, il governo e il parlamento hanno il diritto di essere informati in dettaglio sulle strategie di Mediaset. E il Tesoro, azionista di Rai, ha il dovere di tutelare al meglio il suo investimento.

Ciò che non sembra più consentito – a nessuno – è tenere pietrificata la foresta tv italiana: ciò che, alla fine del ventennio “berlusconiano”, appare essenzialmente responsabilità della sinistra, che non ha mai  affondato il coltello nel conflitto d’interessi del Cavaliere neppure quando poteva (ad esempio, dopo la schiacciante vittoria di Romano Prodi nel ’96) per non dover affrontare il proprio genetico conflitto d’interessi con la Rai. Non è un caso che l’intellettuale più esemplare prodotto dalla Rai (Umberto Eco) invochi sulle colonne de Il Corriere della Sera investitori esteri per “salvare” Rcs Libri dalle mire di Mondadori. 

Il punto è che su Rcs Libri – fino a che gli autori come Eco saranno felicissimi di esservi – non attireranno mai capitali esteri. Quelli che invece puntano su Mediaset e Mondadori quando – con strumenti di mercato – presentano proposte credibili su media company invecchiate e in crisi.