Il premier Matteo Renzi adombra l’ipotesi di varare per decreto la riforma della Rai e la contraerea è subito imponente, da un fronte vasto. Antonio Polito sul Corriere della Sera accosta argutamente questo nuovo dossier aperto da Palazzo Chigi alle critiche mosse al premier addirittura dalla presidente della Camera Laura Boldrini: votata due anni fa dalla stessa maggioranza che oggi sostiene Renzi. Accuse apparentemente gravi: scarso rispetto della democrazia, che a Roma e dintorni equivale sempre a paventare marce in camicia nera.



È verosimile che non vi sia un requisito d’urgenza – costituzionalmente previsto – per un ukaze su viale Mazzini. E farà bene a vigilare il nuovo presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: noto fra l’altro per le sue passate posizioni critiche sull’ascesa di Mediaset come dupolista del servizio pubblico tv. Mattarella, d’altra parte, non era ancora stato eletto quando – il 20 gennaio scorso – il Consiglio dei ministri decise per decreto la trasformazione obbligatoria in Spa delle 10 maggiori banche Popolari. Una scossa alla democrazia istituzionale, ma soprattutto a quella reale: a un pezzo importante della cooperazione italiana e a un quarto del sistema bancario. Tuttavia non si rammentano – un mese fa – alti allarmi su presunti attentati all’ordinamento democratico, anzi. 



Nei giorni successivi le cronache hanno registrato una vera e propria offensiva da parte di Bankitalia e di alcune Procure: indagini a Ubi e Veneto Banca, addirittura commissariamento all’Etruria. Ex post – singolarmente ex post – la narrazione mediatico-giudiziaria è parsa correre a confermare qualche ragione d’urgenza nell’intervento per decreto sulle Popolari : un blitz gradito del resto ai mercati.

A festeggiare il decreto sulle Popolari sono stati gli stessi mercati che quasi quattro anni fa hanno decretato “l’urgenza” di far cadere il governo Berlusconi e di issare a Palazzo Chigi il più ultra-tecnico dei governi di salute pubblica, guidato da Mario Monti. Una parentesi di democrazia inequivocabilmente “a bassa intensità” eppure mai seriamente contestata.



Può darsi che abbia torto il governo a voler procedere per decreto sulla Rai: o – più banalmente – non ne abbia la forza, o tema di non essere appoggiato dallo stesso coro “di urgenza democratica” fatale alle Popolari. Può darsi che Mattarella abbia le sue ragioni per esercitare una più stretta supervisione sulle procedure democratiche di cambiamento di una “res publica” come la Rai: o che – più banalmente – sia oggi nelle condizioni di rispettare e far rispettare la democrazia reale più di quanto abbia potuto fare Giorgio Napolitano nel 2011.

Può darsi. Ma resta l’impressione che la “questione democratica”, vera o presunta, in Italia continui a non essere mai uguale per tutti. 

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