Non saranno pochi quelli che accrediteranno il premier Matteo Renzi di un successo politico-economico dopo al promozione della Legge di stabilità 2015, da parte dell’Ue ieri. Non è un giudizio infondato, così come non era scontato il via libera della Commissione (lo ha correttamente sottolineato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan). Ma non avrebbe torto chi assegnasse al presidente della Bce una larga porzione dei meriti sul terreno più strettamente politico: quello in cui Renzi si è sempre auto-attribuito il ruolo di scuotitore storico dell’Europa germanocentrica e tecnocratica.



È vero che c’era il volto di Renzi, sul banco del governo, durante gli ultimi scontri parlamentari sul Jobs Act: la riforma-chiave cui il commissario Ue Pierre Moscovici ha fatto esplicito riferimento nel vistare il budget italiano. È vero anche cancelliere tedesco Angela Merkel è stata certamente la prima a cogliere la sostanziale debolezza politica tedesca all’ultimo eurogruppo: che non ha spezzato le reni alla Grecia, apparentemente sola nel ruolo di “pecora nera dell’euro”, ma non meno di Wolfgang Schauble, il falco di Berlino, sempre più stizzito e isolato nei panni del “herr nein”.



Ora Renzi ha contribuito molto sulla scena mediatica a rappresentare un’Europa sempre più folta di convitati di pietra: di paesi economicamente sfiancati e politicamente arrabbiati, non così lontani dal mix greco di condizioni materiali e di spirito pubblico. Ma questo – appunto – può aver ulteriormente innervosito il governo tedesco, ma a metterlo (forse per la prima volta) di fronte alle sue responsabilità, è stato il banchiere italiano di Francoforte: e non è stato certamente per caso che il francese Moscovici abbia invece “avvertito” Berlino con l’argomento draghiano per eccellenza (l’eccesso di surplus commerciale della Germania). Argomento impeccabilmente economico, ma anche di forte impatto politico: nel piegare quel tanto che bastava – un mese fa al consiglio Bce – le resistenze della Bundesbank al Quantitative easing dell’euro: che durerà “fino a quando servirà”, ha detto giusto ieri Draghi. Con un ulteriore “strappetto” fuori programma.

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