Una celebre battuta di Bill Clinton – “It’s the economy, stupid” – può essere utile per leggere l’esito, tuttora in sviluppo, del voto greco. L’elettore ellenico ha espresso una richiesta molto chiara e sarebbe un errore pensarlo come un cittadino ingenuo, destinato a essere inesorabilmente tradito da una serie poco credibile di promesse gratuite. Possiamo ammettere che le promesse fattegli da Alexis Tsipras siano “avanzate”, ma sarebbe sbagliato affermare che – in una democrazia non più giovanissima come quella della Grecia europea – ciò colpisca pregiudizialmente la dabbenaggine dell’elettore. Sono “promesse” che – d’altronde – sono state prese assai seriamente dal governo di Berlino.



All’indomani della conferenza stampa Tsipras-Renzi a Roma, non sono passate inosservate le dichiarazioni del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble: “L’Italia ha fatto le sue riforme”, ha ammesso. Una “promozione” forse non del tutto convinta, ma per la Germania diventerebbe troppo rischioso riunire in un unco fronte Italia e Grecia, un domani Spagna e fors’anche Francia; per non parlare del presidente della Bce, Mario Draghi.  



Leggendo i numeri dell’economia greca, si può d’altronde intuire – non capire, perché si tratta di numeri troppo forti per essere interpretati da lontano – che la popolazione possa essere esasperata da nomi simbolo delle odierne burocrazie come troika, Ue, Fondo monetario internazionale, Bce. È più corretto supporre che questi nomi sono stati presentati come entità ultraterrene i cui diktat non sembravano discutibili. E il risultato è l’evidente rifiuto di richieste che avevano l’intenzione di produrre un aiuto (interessato, non lo si può negare, il ritrovato equilibrio dei sistemi finanziari tedesco e francese lo dimostrano) a una difficoltà creata in autonomia all’interno della Grecia. Una difficoltà accresciuta dall’intuito di quel consigliere governativo che allora ha avuto il coraggio di spiegare al suo primo ministro che la Grecia stava per “saltare”, ma che la dimensione del problema poteva essere considerata irrilevante.



Il neo-premier Alexis Tsipras si trova nella condizione di chi ha capito sicuramente le componenti del puzzle, ascoltando però la folla (il voto di protesta in Grecia è stato evidentemente dominante) deve ancora trovare come mettere insieme i pezzi. Il rischio per il Paese, e per il resto d’Europa è che una delusione data da questo governo potrebbe produrre un veloce riorientamento dell’elettorato verso schieramenti più “promettenti”. Il ragionamento sulla Grecia riporta l’attenzione alla componente di politica economica grande assente di questi anni: la politica fiscale. L’uso di questa leva dovrebbe essere anticiclico, una parte dell’Europa non ritiene esistano gli spazi per il suo uso più tradizionale, il consenso elettorale (locale) a questo orientamento appare fortissimo, tanto quanto la reticenza a testare opinioni marginalmente diverse.

I costi sociali che la popolazione europea in parte già affronta e in parte affronterà nello scenario a oggi prevalente non saranno leggeri (la disoccupazione giovanile già nota sia per dimensione che per durata può essere già vista come una grave ingiustizia). L’uscita dalla crisi economica europea sarà molto lenta finché a livello politico non sarà maturata una capacità di leggere la realtà in modo diverso. Una lettura nemmeno molto innovativa della realtà economica attuale potrebbe, invece di guardare solo al pareggio di bilancio come totem cui tendere senza dichiararne esplicitamente la ragione, considerare che l’attuale livello dei tassi di interesse, anche a lunga scadenza, è un’occasione che potrebbe non tornare a breve, un’occasione da non perdere per realizzare quelle opere pubbliche in grado di restituire rendimenti colossali se realizzate pensando al futuro a lungo termine di un Paese (o di una comunità di paesi, se vogliamo accettare che l’Europa esiste e vogliamo lavorare perché continui a esistere).

La contabilità utilizzata per valutare l’operato di un governante tende a guardare quanto è costato, più di quanto ha omesso di fare o creare, i danni procurati per omissione possono essere immensi a confronto dei tradizionali errori dell’agire. Altro tema che sembra diffuso nel modo di pensare odierno in Europa è la confusione esistente nel leggere la finanza e l’economia come obiettivi e non per quello che sono e devono rimanere: puri strumenti.

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