A che gioco sta giocando Matteo Renzi nella partita che si è aperta con la Grecia? Ricevendo a Roma Alexis Tsipras ha detto: pur appartenendo a famiglie politiche diverse, “parliamo lo stesso linguaggio”. Una frase che ha messo subito in allarme Angela Merkel. Così, quando la Bce ha sospeso il finanziamento diretto alle banche elleniche, spingendole ad alimentarsi attraverso la banca centrale nazionale, Renzi è corso a dichiarare che “Draghi ha fatto bene”. Dunque, il capo del governo italiano procede a zig zag? Il fatto è che la crisi greca, politica prima ancora che economica, lo mette di fronte a una serie di dilemmi a catena che non hanno facile soluzione.
1) Il primo potremmo chiamarlo il dilemma delle due A: Alexis o Angela. Sulla carta, un successo di Tsipras nel rinegoziare il debito potrebbe aprire all’Italia uno spiraglio importante. È proprio quel che teme la Germania che si mostra pronta a mollare i greci, ma non è assolutamente in grado di rompere con gli italiani, ai quali però insiste nel chiedere il rispetto delle regole, alla lettera. Se Renzi tira troppo la corda, dunque, addio flessibilità.
2) Un insuccesso della coalizione rosso-nera ad Atene potrebbe dare a Renzi l’occasione per dire: vedete che con politiche radicali non si va da nessuna parte. Tuttavia un’eventuale uscita dall’euro farebbe scoppiare in Italia una tempesta economica, con lo spread che sale alle stelle, e una bufera politica con tutti gli anti-euro in piazza al grido di “italiani-greci una faccia una razza”.
3) Tsipras ha ringalluzzito non solo Salvini e Grillo, ma anche la sinistra interna al Pd. Renzi deve evitare la saldatura di questo triangolo micidiale, tuttavia un eccessivo spostamento filo-greco lo getta nelle braccia della sinistra che è stata essenziale nell’eleggere Sergio Mattarella e nel mettere all’angolo Berlusconi. Tanto più che la crisi del patto del Nazareno fa perdere a Renzi quel bilanciamento a destra indispensabile per far passare delle riforme come quella del lavoro che certo non piacciono alla sinistra del Pd.
4) Se dà troppo spago a Tsipras, il rischio per Renzi è di inimicarsi Mario Draghi, senza il quale l’Italia non avrebbe avuto gli strumenti per tirarsi fuori dal baratro. Se molla i greci potrà avere il plauso della Merkel, però non gli resterà che sperare nella sua benevolenza.
5) Ci sarebbe l’occasione di fare da mediatore, un’ipotesi accarezzata prima dell’incontro con il primo ministro greco. Ma ciò mette Renzi in contrasto con i francesi, che si sono già candidati a questo ruolo, e con i tedeschi, che vedono come il fumo negli occhi l’eventualità che Roma si collochi in una posizione mediana, allontanandosi dalla politica del rigore.
6) L’Italia è ancora troppo fragile. Gli ultimi dati europei mostrano che il debito quest’anno continua salire di oltre un punto (da 131,9% a 133% del Pil), ragion per cui l’Ue sta preparando una lettera di richiamo. Non solo, la crescita resta fiacca: il prodotto lordo salirà solo dello 0,6%, Eurostat non condivide l’ottimismo della Confindustria e della stessa Banca d’Italia. Fitch e le altre agenzie di rating giustificano così il loro giudizio negativo sul debito tricolore. Vedremo chi avrà ragione, ma intanto è certo che il governo italiano non ha margini di manovra.
7) Dunque, il rischio che la Grecia si trasformi in un trappolone, comunque vada a finire, è molto forte. A meno che Renzi non prenda coraggio lanciando una politica fiscale più ambiziosa per accompagnare il completamento delle riforme economiche e istituzionali: meno tasse e meno spese, una gestione creativa del debito che ne riduca lo stock, una politica di investimenti pubblici e soprattutto privati in grado di mettere in moto una macchina bloccata ormai da sette anni. Lanciando così sia a Bruxelles sia ad Atene un messaggio su come uscire da un’austerità che produce stagnazione. Perché le ultime stime di Eurostat dicono una cosa molto chiara: l’Europa resta nel vagone di coda dell’economia mondiale.
8) È realistico un salto di qualità nella politica economica e sociale? La ripresina potrà lenire le ferite in Italia, ma per sanarle ci vuole molto di più, occorre un tasso di crescita nominale (cioè inflazione compresa) che vada verso i tre punti annui, solo così si può ridurre davvero la disoccupazione. Inoltre, i salari reali restano bassi e il costo del lavoro troppo alto. La produttività di sistema langue, quindi il reddito pro capite non aumenta. Il divario generazionale s’allarga. Non solo scarseggiano i posti di lavoro, ma oggi un quarantenne deve pagare il 50% di tasse in più rispetto a suo padre, per avere una pensione dimezzata. Tutto ciò non può che inasprire i conflitti interni, dando spazio alla protesta e al populismo. Non si può più chiudere gli occhi.
9) Nel 2014 il governo ha scelto chiaramente di galleggiare. L’idea di fondo è stata “portiamo a casa la pelle nel confronto con l’Ue”. L’operazione è riuscita. Ma ha rinviato (o cassato del tutto) la spending review e ha rinunciato a ridurre la pressione fiscale, per cui il bilancio pubblico resta a rischio, sottoposto all’eterna rincorsa tra tasse e spese. Il nodo s’è fatto troppo intrecciato e non si riesce più a scioglierlo. Non resta che tagliarlo, con o senza Tsipras.