Caro direttore, ho letto con interesse l’articolo di Mauro Bottarelli . E a mio sommesso parere ha ragione Topolino. Infatti, l’indice Cpi (misuratore dell’inflazione americana), non comprendendo, ad esempio,  l’energia e i prezzi delle case, è un indicatore fuorviante. Ed è la ragione per cui nel 2008, attraverso di esso, non era per nulla evidente il cataclisma che era lì lì per accadere. 



La regina Elisabetta, all’indomani dello scoppio della crisi del 2008, nel visitare la London School of Economics, stupita, chiese agli astanti economisti come mai nessuno di loro (ma altri, ve lo assicuro, inascoltati, invece sì) non avesse previsto, nonostante tutta la loro scienza, quella terribile crisi (la peggiore dal 1929) che era scoppiata appunto a fine 2008 e che perdura ancora oggi. Mentre Obama (in questo spalleggiata dalla Yellen, da Bernake, ecc.) sbandiera allegramente l’uscita dell’America dalla crisi. 



Purtroppo, non è tutto oro quello che luccica. Infatti, occorrerebbe vedere non solo alcuni indicatori macroeconomici ma il maggior numero possibile. Alcuni, così sbandierati da Obama, portano addirittura fuori strada. Prendiamo, ad esempio, il tasso di disoccupazione: è vero che è gradatamente sceso (anche al di sotto della famosa soglia del 6,5% prefissata dalla Fed), ma è anche vero che negli Stati Uniti, se io propongo a qualcuno di venire a tagliare l’erba nel mio giardino per una sola ora alla settimana, per il Dipartimento del lavoro statunitense quella persona risulta occupata. Per cui, se invece andassimo a guardare le ore-lavoro-uomo, cioè il numero complessivo di ore effettivamente lavorato, troveremmo che la situazione dal 2008 non è affatto cambiata. 



Tra l’altro, le statistiche non mettono in evidenza coloro che, scoraggiati, non fanno neanche più domanda per un lavoro. Infatti, se andiamo a vedere il tasso di occupazione della popolazione statunitense, vedremo che è crollato e continua a ridursi. Tanti altri indicatori macroeconomici, come il Dry Index, il rame, il legno, e varie altre commodities non mostrano una netta inversione di rotta. Alcuni sì, come il petrolio, ma quest’ultimo, oltre che essere influenzato dalla domanda aggregata attesa, è funzione anche di logiche geopolitiche (vedi la lotta alla produzione da Shale americano, la lotta alla Russia via riduzione del prezzo del petrolio) tuttora in corso, e dall’esito imprevedibile. Per non parlare del rallentamento della Cina; dell’apprezzamento del dollaro, che se continuato, avrà sicuramente grosse ripercussioni negative sui Paesi emergenti dato l’ingente debito in banconote verdi (si vedano a tal proposito i dati di Brasile, Turchia, ecc.), con conseguente riflesso negativo sulla domanda globale aggregata; della deflazione presente nell’area Euro.  

Per cui Obama può, per motivi naturalmente e comprensibilmente politici, gridare ai quattro venti di aver portato fuori dalla crisi l’America, ma non dice assolutamente tutta la verità, poiché quei pochi valori che mostrano segnali positivi sono stati ottenuti a costo di un incremento mai avvenuto nella storia della Banca centrale statunitense (Fed) del suo bilancio, che è passato dagli usuali 800 miliardi circa, agli attuali 4,3 trilioni di dollari. 

Tale stampa di moneta ha di fatti soppresso il mercato finanziario, che è diventato di stampo comunista, poiché non esiste più il libero mercato inteso come libero gioco di domanda-offerta, che porta a un prezzo rappresentativo del sottostante la transazione, tenuto conto del premio al rischio. Per cui ci ritroviamo con una curva dei rendimenti assolutamente appiattita, e con rendimenti inesistenti: si pensi che l’acquisto di un qualsiasi titolo di Stato svizzero con scadenza tra zero e dieci anni comporterebbe un rendimento negativo; oppure al decennale tedesco che rende solo lo 0,33% (pensate, se investiste i vostri soldi, dopo dieci anni guadagnereste solo lo 0,33%, cioè non vi paghereste neanche il costo del deposito titoli+bolli). 

Per cui la Yellen, presidente della Fed, si trova davanti alla scelta, per lei terrorizzante, di dar corso a un progressivo aumento dei tassi, che potrebbe avere conseguenze molto negative sulle borse (a loro volta sconnesse dalla realtà economica, cioè crescono oramai da 5 anni in presenza di persistente crisi economica), facendo abortire anzitempo questa presunta flebile ripresa. La situazione della politica dei tassi a zero o negativi, un unicum nella storia della politica monetaria delle banche centrali (un esperimento in territori inesplorati e dalle conseguenze potenzialmente devastanti), non può durare a lungo. 

Di ciò cominciano a essere preoccupati anche personalità del calibro Greenspan (precedente e assolutamente riverito presidente della Fed per un ventennio). Senza considerare poi il fatto che questi primi segnali positivi (parziali) sono avvenuti grazie all’esplosione del debito, infatti, quando Obama ha preso il potere il debito era circa 10,5 trilioni di dollari e oggi siamo a 18,3 trilioni di dollari (102% del Pil), con un incremento di circa l’80’%. Non male! Se volessi sintetizzare il tutto, direi che il malato statunitense, in coma, ha appena aperto gli occhi grazie a decine di flebo di cortisone e medicinale. Quando il cortisone e il medicinale saranno tolti, il malato manterrà ancora gli occhi aperti? 

Ciò che ho detto per gli Stati Uniti di Obama, vale, ovviamente, anche per noi. Anzi, soprattutto per noi! Per cui non affidiamoci ciecamente e solamente a Mario Draghi.