Dal gennaio di quest’anno, con l’estensione della normativa sul Reverse Charge e l’introduzione dello Split Payment, le imprese che operano in alcuni settori (installazione impianti, completamento edifici, pulizie, ecc.) ovvero effettuano operazioni con determinati enti dell’amministrazione pubblica, rischiano uno “stress finanziario per Iva anticipata”.
Nella sostanza, senza voler scendere nel dettaglio e nelle differenze contabili e fiscali tra i due regimi sopra richiamati, le imprese che effettuano alcune tipologie di operazioni (nel caso di Reverse Charge) ovvero nei confronti di alcuni enti pubblici (nel caso dello Split Payment), ancorché paghino l’Iva ai propri fornitori, non la incassano successivamente dal cliente nei confronti del quale emettono la fattura; è infatti quest’ultimo obbligato a riversare direttamente l’imposta all’erario.
Lo scopo della norma sarebbe quello di limitare l’ammontare di evasione nel campo Iva: imponendo, infatti, il versamento al cessionario e non al cedente, si dovrebbero ridurre i margini di detrazione indebita o di semplice omissione dei versamenti. Orbene, a prescindere dall’abusato vezzo di utilizzare termini anglosassoni – quasi a voler supporre una genesi d’oltralpe – per imporre nuovi adempimenti in capo agli operatori economici, rimane fermo il fatto che tali procedure fanno venire meno l’incasso dell’Iva sulle operazioni effettuate, con la conseguenza che alcune aziende si ritrovano cronicamente a credito nei confronti dell’erario per l’Iva assolta sugli acquisti.
In un Paese in cui i tempi dei rimborsi Iva vanno ben oltre i termini fissati dalla legge (che non sono perentori ma ordinatori, per non dire “canzonatori”), il tutto si traduce in un aggravio dei costi amministrativi e finanziari; oneri che risultano non più sostenibili, soprattutto in un momento in cui l’accesso al credito bancario risulta essere difficoltoso per diverse realtà imprenditoriali di piccola dimensione. In sostanza, ancora una volta, gli strumenti normativi introdotti per la lotta alla evasione si traducono, di fatto, in un aggravio finanziario e amministrativo per le imprese che correttamente adempiono ai propri impegni fiscali.
A comprova della paradossale situazione venutasi a creare, si registra l’intervento del Governo che, nel tentativo di arginare il problema e dare ossigeno finanziario alle aziende, con l’approvazione del cosiddetto “milleproroghe” ha reso possibile aumentare l’anticipazione concedibile sugli appalti pubblici portandola dal 10% al 20%; di obiettivo analogo, il decreto emanato dal ministero dell’Economia una decina di giorni fa , che ha ampliato la casistica per poter accedere ai rimborsi Iva infrannuali.
Nonostante ciò – soprattutto per quanto riguarda l’introduzione dello Split Payment – permane il dubbio sull’utilità di tale particolare metodologia di fatturazione (che, oltretutto, ancorché già in vigore, dev’essere assoggettata all’autorizzazione dell’Unione europea); che senso ha, infatti, adottare questo strumento di lotta all’evasione nelle operazioni con la Pubblica amministrazione quando, a far data dal 31 marzo prossimo, tutte le transazioni effettuate con i soggetti rientranti in questo novero dovranno obbligatoriamente essere documentate attraverso la fatturazione elettronica, ossia attraverso il Sistema di interscambio gestito e monitorato dallo stesso ministero dell’Economia? Che effetti potrebbero esserci per le imprese che hanno operato in ossequio alla attuale normativa, qualora, invece, Bruxelles non dovesse rilasciare l’autorizzazione richiesta?
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