Secondo l’istituto di ricerche Prometeia, nel 2015 il Quantitative easing produrrà un effetto benefico sul Pil italiano dello 0,6%, pari cioè alla quasi totalità delle crescita che entro fine anno è calcolata per lo 0,7%. Stando all’elaborazione del centro studi, gli impieghi degli istituti di credito aumenteranno sia verso le imprese (+20 miliardi di euro) che verso le famiglie (+13 miliardi). L’intervento della Bce abbasserà ulteriormente il rapporto euro-dollaro, stabilizzandolo a quota 1,05-1,10, e, abbassando ulteriormente i tassi d’interesse, dovrebbe indurre maggiore propensione agi investimenti. Ne abbiamo parlato con Franco Debenedetti, commentatore politico, imprenditore ed ex senatore.



Quali saranno gli effetti del Quantitative easing sull’economia reale?

Il Quantitative easing compera debito sovrano dalle banche, non finanzia direttamente investimenti né pubblici, né privati. Nel bilancio delle banche sostituisce crediti fruttiferi con il Tesoro con crediti non fruttiferi presso la Bce. Se il capitale delle banche, tenuto conto dei vincoli posti dalla sorveglianza, lo consente, le banche cercheranno di fare altri prestiti che diano un rendimento, altrimenti non riescono a fare quadrare i propri conti. È questo il meccanismo attraverso il quale le banche sono indotte a dare maggiore credito: a patto che ci sia qualcuno che chieda un prestito.



Ci sarà maggiore richiesta?

È molto probabile. Il Qe non aumenta la liquidità delle banche, abbassa i tassi a lungo termine. Segnala a banche e imprese che si possono indebitare a medio lungo termine a condizioni molto favorevoli. Più i tassi sono bassi, più sono gli investimenti che rendono più di quanto costa finanziarli. Aumenta anche la necessità delle banche di trovare prestiti che rendano. E siccome più rendimento inesorabilmente vuol dire più rischio, aumenta il rischio che le banche sono disposte a correre. Altro che fare pulizia nei conti delle banche: il Qe rischia di indurre una propensione al rischio che, anche senza pensare a bolle del tipo di quelle dalle cui conseguenze cerchiamo di uscire, potrebbe portare a un aumento delle insolvenze domani. Saper dare il merito di credito, che dovrebbe essere il mestiere delle banche, diventa più difficile.



Il Quantitative easing finirà per aiutare le imprese che esportano, che stanno già bene, senza favorire quelle che vendono solo in Italia e che sono maggiormente in difficoltà?

Per quelle che esportano c’è l’effetto positivo dell’abbassamento del tasso di cambio col dollaro. E chi non esporta, ma fornisce alle imprese esportatrici, ne avrà un beneficio indiretto. Ma il Quantitative easing non è fatto per salvare le imprese. Il suo obiettivo è abbassare i tassi a lungo termine. Generando un effetto scarsità, si aumenta il prezzo dei titoli di stato e in questo modo diminuiscono rendimento e tassi. La Bce accetta come garanzia anche obbligazioni emesse da imprese, ma questo in Europa è un mercato di modeste dimensioni, le imprese europee si finanziano dalle banche e non sul mercato.

Ci sono altri effetti indiretti?

Certo, quelli che producono effetti diretti si chiamano aiuti di stato, e l’Europa li ha banditi. Ma anche il Qe non è neutrale, favorisce alcuni e crea problemi ad altri. Ad esempio crea problemi agli assicuratori.

A che cosa si riferisce?

Le assicurazioni prendono soldi oggi da chi sottoscrive una pensione integrativa, li investono in modo da potere pagargli la pensione domani. Per questo le assicurazioni cercano di investire in titoli a basso rischio e a lungo termine. Con questi rendimenti non sanno più come fare, e devono quindi andarsi a cercare qualcosa che dia rendimento.

 

Sarebbe opportuna da parte di Renzi una manovra già adesso, per riattivare l’economia senza attendere la Legge di stabilità di fine anno?

Il modo più semplice, più rapido, di riattivare l’economia è abbassare le tasse.

 

Quali tasse sarebbe più urgente abbassare?

Le tasse sul lavoro e più in generale quelle che gravano sulle imprese.

 

Il taglio delle tasse va finanziato con un aumento del deficit o con una riduzione della spesa?

Ovviamente con una riduzione della spesa.

 

Vanno vendute quote di Eni e di altre società pubbliche?

Certo che sì, ma sia chiaro che non c’entra affatto con la riduzione della spesa. Se lei ha soldi sul suo conto corrente o azioni Eni in custodia alla banca, la sua ricchezza non cambia. Potrebbe cambiare in futuro se pensa che i titoli Eni si apprezzeranno di più di quello che pensano i mercati (ma potrebbe anche essere succedere il contrario). Dal punto di vista patrimoniale avere una casa o i soldi della casa è la stessa cosa. Diverso è invece se un uomo ha un figlio che gli chiede dei soldi per giocare ai videogame. Il giorno in cui decide di non darglieli più attua un risparmio netto e dà anche un insegnamento al figlio. La spending review dovrebbe essere una cosa simile: con la differenza che compito dello Stato non è dare lezioni. Lo Stato deve solo mettere dietro le cattedre dei buoni insegnanti.

 

Su quali spese bisognerebbe mettere mano?

Su tutte le spese della Pubblica amministrazione. Lo Stato spende la metà del Pil nazionale, e quindi ci sono ampi spazi per far meglio. Certo che siccome per la gran parte sono stipendi, la spending review tocca anche quelli. Ma la spending review non è solo spendere meno, è spendere meglio. E già che parlavamo di scuola, si possono spendere soldi per regolarizzare i precari oppure per selezionare con premi gli insegnanti migliori. Quale delle due crede sia la scelta migliore?

 

(Pietro Vernizzi)